Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/660

Da Wikisource.

246

tale è la condizione nella quale mi trovo. In fatti, mentre per due volte mi credo al colmo de’ miei desiderii, allora appunto vengo dal mio tristo destino strappato nella più crudel maniera dal fianco di colei che amo. Dopo ciò, più non mi resta che pensare alla morte: me la sarei già data, se la nostra religione non mi vietasse d’essere omicida di me medesimo; ma non v’ha bisogno che la prevenga: ben sento che non dovrò attenderla a lungo.» Ciò detto tacque, prorompendo in gemiti, sospiri, singhiozzi e lagrime, che lasciò scorrere in abbondanza.

«Il gioielliere, il quale non conosceva altro mezzo di distoglierlo da quel disperato pensiero fuorchè rimettendogli Schemselnihar nella memoria, e dargli così qualche ombra di speranza, gli disse temere non fosse già venuta la confidente, per cui stimava opportuno di non perder tempo a tornare a casa. — Vi lascio andare,» rispose il principe; «ma se la vedete, vi prego di raccomandarle bene d’assicurare Schemselnihar, che se debbo morire, come già me l’aspetto, io l’amerò fino all’ultimo sospiro, e fin nella tomba. —

«Tornò il gioielliere a casa, e vi rimase nella speranza di vedere la confidente, la quale giunse in fatti alcune ore dopo, ma tutta in lagrime ed in grandissimo scompiglio. Atterrito a quella vista il gioielliere, si affrettò ansiosamente a chiederle cosa avesse.

«— Schemselnihar, il principe di Persia, voi ed io,» ripigliò la confidente, «siamo tutti perduti. Udite la triste notizia che seppi ieri, tornando al palazzo dopo avervi lasciato. Schemselnihar aveva fatto castigare, per non so qual fallo, una delle due schiave che vedeste con lei il giorno del convegno nell’altra vostra casa. La schiava, offesa di quella punizione, trovata aperta la porta del palazzo, uscì, e non dubitiamo che non abbia manifestata ogni cosa ad un