Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/755

Da Wikisource.

341

notte tempo davanti alla città degl’Idolatri. Accostato che se ne fu tanto vicino quanto stimava a proposito, non calò l’ancora; ma mentre il legno rimaneva in panna, imbarcatosi nella sua lancia, andò ad approdare in un sito poco lontano dal porto, d’onde si recò al giardino di Camaralzaman insieme a sei marinai de’ più risoluti.

«Il giovane allora non dormiva; la di lui separazione dalla bella principessa della China, sua moglie, l’affliggeva al solito, ed egli detestava il momento, in cui erasi lasciato tentare dalla curiosità, non già di maneggiare, ma perfin di toccare la di lei cintura. Passava dunque così i momenti consagrati al riposo, allorchè intese battere alla porta del giardino. Vi si recò subito mezzo vestito, ed appena ebbe aperto, che, senza dirgli parola, il capitano ed i marinai impossessaronsi di lui, lo trascinarono di viva forza alla scialuppa, e lo condussero al vascello, che rimise alla vela tosto ch’ei fu imbarcato.

«Camaralzaman ch’erasi tenuto in silenzio fin allora, al paro del capitano e de’ marinai, chiese al primo, cui aveva riconosciuto, perchè gli usasse quella violenza. — Non siete voi debitore del re dell’isola d’Ebano?» gli domandò a sua volta il capitano. — Io, debitore del re dell’isola d’Ebano?» rispose Camaralzaman sorpreso. «Non lo conosco nemmeno: non ho avuto mai da fare con lui, nè mai ho posto piede nel suo regno. — Questo è ciò che dovete sapere meglio di me,» riprese il capitano. «Gli parlerete voi medesimo; intanto restate qui, ed abbiate pazienza.»

Scheherazade fu obbligata a metter fine in questo luogo al suo discorso, per lasciar agio al sultano delle Indie di alzarsi ed attendono alle sue ordinarie occupazioni. Lo ripigliò la notte seguente; parlandogli in cotal guisa: