Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/672

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«Uscii dunque dalla città, ed inoltratomi in un deserto, camminai fin quando sopraggiunse la notte; non sapendo più dove fossi, nè dove andassi, cercava qualche ricovero, quando scorsi, al chiaror di luna, o vicino a me, due serpenti enormi, l’uno rosso, l’altro bianco, che si battevano. Mosso da pietà, senza saperne il motivo, in favore del serpente bianco, raccolsi una grossa pietra, e slanciandola con tutta forza, mirai sì giusto, che schiacciai la testa dell’altro serpente.

«Il serpente bianco fuggì subito sibilando, ma comparve poco dopo, accompagnato da dieci altri serpenti bianchi al par di lui; s’avvicinarono all’animale terribile da me steso morto nella polve, e dopo averlo fatto in pezzi, non lasciandogli intatta che la testa, presero la fuga, allontanandosi colla velocità d’un dardo.

«Mentre occupavami a riflettere sulla singolarità di quell’avventura, intesi vicino a me, senza però veder alcuno, una voce pronunciare codesto verso:

«— Non temer la fortuna ed i suoi rigori: il cielo ti promette la felicità e la gioia.»

NOTTE DXXIII

— «Quella voce, che pareva uscita dal seno della terra, mi empì di spavento invece di rassicurarmi: solo in quel deserto, io non sapeva se dovessi fuggire o restare, quando intesi distintamente un’altra voce pronunciare dietro di me codest’altre parole;

«— Musulmano, che hai la felicità di parlare la