Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/449

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«Eravi tal quantità di quei ramoscelli, che il giovanetto n’ebbe in breve fatto un mucchio più che sufficiente, mentre il mago accendeva l’esca. Vi appiccò il fuoco, e nel momento che i rovi infiammavansi, il negromante vi gettò sopra un profumo che tenea preparato. Se ne levò tosto un fumo densissimo, ch’egli divideva da una parte e dall’altra, pronunciando parole magiche, alle quali Aladino nulla comprese.»

Schahriar ascoltava attentamente la sultana per sapere cosa sarebbe accaduto per l’operazione magica dell’Affricano, quand’ella cessò dal parlare a cagione dell’aurora che in quel punto comparve.


NOTTE CCCXIII


— Sire,» gli diss’ella il mattino seguente. «nel punto stesso tremò alquanto la terra, e spalancatasi in quel sito davanti al mago e ad Aladino, mostrò allo scoperto una pietra di circa un piede e mezzo in quadrato, e d’un piede circa di altezza, posta orizzontalmente, con un anello di bronzo saldato nel mezzo, onde valersene per sollevarla. Aladino, spaventato di quanto accadevagli davanti agli occhi, n’ebbe paura, e volle darsi alla fuga: ma era necessario a quel mistero, ed il mago lo trattenne e sgridollo fieramente, dandogli uno schiaffo sì forte che lo gettò per terra, e poco mancò non gli schiantasse i denti davanti, come apparve dal sangue che uscivagli dalla bocca. Il povero Aladino, tutto tremante e colle lagrime agli occhi: — Zio,» gridò piangendo, «che cosa vi feci mai per meritare che mi batteste sì duramente?