Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/466

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Siccome il discorso di Aladino pareva assai giusto, sua madre non ebbe nulla da replicare. — Caro figlio,» gli disse, «potete fare come v’aggrada: io però non vorrei, per tutto l’oro del mondo, aver da fare con geni. Vi dichiaro che me ne lavo le mani, e non ve ne parlerò più.»


NOTTE CCCXVIII


— All’indomani sera, dopo la cena, non restava più nulla della buona provvisione portata dal genio; il giorno seguente, non volendo Aladino attendere che la fame lo stringesse, prese sotto la veste un piatto d’argento, ed uscì per andarlo a vendere. Si rivolse ad un Ebreo che incontrò per via, e trattolo in disparte, e mostratogli il piatto, gli domandò se volesse comprarlo.

«Lo scaltro Ebreo prende il piatto, lo esamina, e non appena ebbe conosciuto ch’era d’argento fino, domandò al giovane quanto ne volesse. Aladino, il quale non ne conosceva il valore, e non aveva mai fatto commercio di simili oggetti, si contentò di dirgli saper bene anch’egli cosa potesse valere, e che rimettevasene alla sua buona fede. L’Ebreo si trovò imbarazzato dell’ingenuità di Aladino, e nell’incertezza di sapere se questi ne conoscesse la materia ed il valore, trasse dalla borsa una moneta d’oro che non formava al più se non la settantesimaseconda parte del valore del piatto, e gliela presentò. Il giovane prese con premura la moneta, e quando l’ebbe in mano, andossene con tal fretta, che l’Ebreo, non contento del guadagno esorbitante fatto con quell’acquisto, si dolse fra sè di non aver capito che il garzoncello