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Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/594

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riguardo alle enormi ricchezze che poteano toccarmi a sorte accettandola, risguardava come una gran perdita la cessione della metà de’ cammelli, specialmente quando considerava che il dervis non sarebbe men ricco di me. In conclusione, io già pagava d’ingratitudine un benefizio puramente gratuito, che non aveva ancora ricevuto dal dervis; ma non c’era da titubare: bisognava accettare la condizione o risolversi a pentirmi per tutta la vita d’avere, per mia colpa, perduta l’occasione di fare un’alta fortuna.

«Sul momento stesso raccolsi i cammelli, e partimmo assieme. Camminato per qualche tempo, giungemmo in una valle abbastanza spaziosa, ma il cui ingresso era molto angusto, talchè i miei cammelli non poterono passare se non ad uno ad uno; se non che, siccome il terreno si allargava, trovarono modo di capirvi tutti insieme senza imbarazzarsi. Le due montagne che formavano quella valle, terminando all’estremità in un semicerchio, erano si alte, scoscese ed impraticabili, da non esservi certo a temere che alcun mortale ne potesse scorgere.

«Giunti fra quelle due montagne: — Non andiamo più innanzi,» mi disse il dervis; «fermate i vostri cammelli e fateli inginocchiare nello spazio che vedete, affinchè non abbiamo a durar fatica per caricarli; fatto questo, procederò all’apertura del tesoro. —

«Feci quanto mi aveva detto il dervis, e presto andato a raggiungerlo, lo trovai coll’acciarino in mano, che ammucchiava un po’ di legne secche per far fuoco. Quando n’ebbe acceso, vi gettò sopra un po’ di profumo, pronunziando alcune parole, delle quali non intesi bene il senso; tosto si sollevò nell’aria un denso fumo, ch’egli andava separando, e sul momento, sebbene nella rupe che stava fra le due montagne, e che ergevasi altissima in linea perpendicolare, non apparisse alcuna fessura, ve se ne formò