Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/102

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dinarie cose, la interruppe, e: — Sorella,» le disse, «indarno noi piangiamo il nostro fratello Bahman; i lamenti, nè il dolor nostro non lo torneranno in vita; è la volontà di Dio, e noi dobbiamo sottomettervici, ed adorarlo ne’ suoi decreti senza volerli scrutare. Perchè volete adesso dubitare delle parole della divota musulmana, dopo averle sì fermamente tenute per certe e veraci? Credete voi ch’ella vi avrebbe parlato di queste tre cose se non esistessero, e che le abbia inventate espressamente per ingannarvi, voi che, ben lungi dall’avergliene dato argomento, l’accoglieste così bene e la trattaste con tanta cortesia e bontà? Crediamo piuttosto che la morte di nostro fratello provenga da sua colpa o da qualche caso che non sapremmo immaginare. Laonde, sorella, non c’impedisca la sua perdita di proseguire la nostra ricerca; io erami offerto a fare in sua vece quel viaggio: sono ancora nella medesima disposizione, e siccome il suo esempio non mi fa mutar sentimento, domani subito voglio intraprenderlo. —

«Fece la principessa tutti i possibili sforzi per dissuadere Perviz, scongiurandolo a non esporla al pericolo di perdere, invece d’uno, amendue i fratelli; ma egli fu irremovibile, ad onta delle rimostranze che gli fece. Prima di partire, acciò potesse essere informata dell’esito del viaggio cui intraprendeva, com’era stata di quello del principe Bahman, mediante il coltello lasciatole da questo, le diede anch’egli una corona di perle di cento grani pel medesimo uso, e nel censegnargliela: — Dite durante la mia assenza questa corona secondo la mia intenzione. Se, recitandola, accada che i grani si formino per modo che non li possiate più movere, nè farli scorrere l’un dietro l’altro; come se fossero incollati, sarà questo il segno che avrò incontrata la stessa sorte di nostro fratello; ma speriamo che ciò non avvenga, e ch’io avrò la