Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/22

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e colà, un passo dopo l’altro, camminando sempre dritto, e volgendo gli sguardi da una parte e dall’altra, andò tanto innanzi senza trovare quanto cercava, che stimò essere per riuscirgli inutile quella fatica. Attirato nondimeno come suo malgrado, non lasciò di procedere sino a certe rupi altissime, ove sarebbe stato costretto a disviare se avesse voluto passar oltre; quelle rupi, assai scoscese, giacevano in un luogo sterile, quattro buone leghe distanti dal punto ond’era partito.

«Avvicinandosi alle rocce, Ahmed scorge una freccia; la raccoglie, la considera, ed estrema è la sua maraviglia vedendo ch’era la medesima da lui scoccata! — È dessa,» disse fra se; «ma nè io, ne alcun mortale al mondo non abbiamo certo la forza di scagliare una freccia a tal distanza.» Siccome l’aveva trovata distesa per terra e non confitta colla punta, stimò che avesse battuto nella rupe e fosse stata ribattuta dalla sua resistenza. «Qui c’è sotto qualche mistero,» tornò a dire, «in una cosa si straordinaria, e questo mistero non può essere che vantaggioso per me. La fortuna, dopo avermi afflitto privandomi del possedimento d’un bene che doveva, com’io sperava, formare la felicità della mia vita, me ne serba forse un altro per mia consolazione.—

«In tal pensiero, siccome la facciata di quelle rupi avanzavasi in punte, ritirandosi in vari sfondi, il principe entrò in uno di questi, e nel volgersi qua e là, presentossi a suoi sguardi una porta di ferro senza apparenza di serratura. Temè non fosse chiusa, ma sospingendola, quella si apri per di dentro, ed ei vide un suolo inclinato in dolce pendio, senza gradini, pel quale discese col dardo in mano. Stimava immergersi nelle tenebre; ma in breve successe, a quella ch’ei lasciava una luce affatto diversa; ed entrando in una spaziosa piazza, di cinquanta