Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/262

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«Il giovine, senza sembrare spaventato dall’ira del re e dagli apparecchi del supplizio cui pareva non potesse evitare, rispose con calma: — Sire, io non ho commesso di mia volontà e deliberatamente l’azione che mi fa parer colpevole; io non aveva alcuna ragione d’introdurmi in quell’appartamento, ma ci fui spinto dal mio fatal destino. Finora ho cercato di guarentirmi da ogni errore, e preservarmi da ogni accidente; ma niuno può evitare il proprio destino, e inutili sono tutti gli sforzi contro l’avversa fortuna. L’esempio del mercante, il quale doveva essere un giorno infelice, e le cui pene e travagli non poterono mai mutarne il fato, prova a tutt’evidenza la mia asserzione.

«— E qual è questa storia?» disse Azadbakht; «ed in qual modo quel mercante divenne per sempre infelice?»


STORIA


DEL MERCANTE DIVENUTO INFELICE.


«— Iddio prolunghi i giorni di vostra maestà, o sire,» riprese il giovine intendente. «Viveva altre volte in Bagdad un mercante, le cui intraprese riuscirono dapprima secondo i suoi desiderii: il suo commercio prosperava, ed i di lui fondi aumentavano in guisa che con una dramma ne guadagnava cento; ma la fortuna che l’aveva per lungo tempo favorito, gli diventò d’improvviso nemica. Il mercatante, nulla sospettando di tal cambiamento, e volendo cominciar a fruire del frutto de’ propri risparmi, disse fra sè: — Io ora son ricco; eppure m’affanno ancora, intraprendendo lunghi viaggi, e corro irrequieto da un