Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/44

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«Alla domane, il giovane uscì, come al solito, dalla porta di ferro, col medesimo seguito che soleva accompagnarlo, e giunse vicino alla maga, cui non conosceva. Vedendo una donna caricata, colla resta appoggiata al sasso, e sentendola lagnarsi come persona che soffre, la compassione mosselo a sviarsi per avvicinarsele e chiederle qual fosse il suo male, e cosa potesse fare per sollevarla...»

L’alba sorse ad interrompere la sultana delle Indie. — Temo assai,» le disse la sorella, «che questa megera turbi la felicità del principe Ahmed; sono gente pericolosa! — Le maghe hanno alcerto mezzi di nuocere,» rispose Scheherazade; «ma le fate hanno maggior potere, e quella che protegge Ahmed saprà ben guarentirlo da ogni insidia.» Così disse la sultana, la quale, la notte seguente, continuò in tal guisa il racconto:


NOTTE CDVII


— Sire, l’artificiosa maga, senza alzare il capo, guardando il principe in modo di accrescere la compassione ond’era già tocco, rispose, con parole interrotte e quasi potesse appena respirare, di essere partita di casa per recarsi alla città: ma che, strada facendo, una febbre violenta l’aveva assalita; che, mancatele alfine le forze, era stata costretta a fermarsi e rimanere nello stato in cui la vedeva, in un luogo lontano da ogni abitazione, e per conseguenza senza alcuna speme di aiuto.

«— Buona donna,» riprese Ahmed, «non siete tanto lontana dal soccorso di cui abbisognate, quanto