Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/444

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mento agitate, incalzandosi l’un l’altra, presentano lo spettacolo d’una superficie nera, che sembra tinta di sangue alla funesta luce dei lampi.

«Irrompe la tempesta da tutte le parti: i venti racchiusi col fulmine approfittano del varco che questi loro schiude; il mare sprofonda negli abissi che si è scavato; il fragore dell’onde, il fischiar de’ venti scuotono la base delle rupi, e lo scoppio rumoroso e terribile del tuono sembra minacciar del primo caos quella parte del globo.

«Tutto non era naturale nel tumulto che sconvolgeva allora gli elementi. Alabus, preposto alla guardia dell’armi e dei tesori del profeta, nel momento in cui i geni ribelli avevano presa la fuga, era uscito alla testa degli spiriti sommessi al suo comando; ed il mare, la terra e l’aria diventano il teatro di tre mischie ostinate e furiose.

«Habib, colpito dal disordine che lo circonda, non può imputarne la causa se non alla propria imprudenza: quando aveva dischiusa la cortina fatale, cielo e terra ridevano, il mare era tranquillo. Si prosterna adunque colla fronte a terra, e volge al cielo una fervida preghiera. Alzasi poi per riconoscere il terreno sul quale si trova. È sulla cima delle rupi appiè delle quali il mare s’infrange con violenza, e circondato da una montagna tagliata a picco, che sembra lo separi dal resto dell’universo; balzando da una rupe all’altra, si percorre uno spazio di mille passi in lunghezza: la luce del sole è intercetta da dense nubi; i lampi che le solvano, danno una tinta ardente o come di rame a tutti gli oggetti su’ quali riverberano, ed un vapore mefitico e salino ingombra la perniciosa atmosfera in mezzo alla quale bisogna respirare.

«La luce che illuminava lo spaventoso quadro era fatta per accrescerne l’orrore. Habib considerò per