Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/57

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non posso però celarle che tale rapporto è verace: io sono sposo della fata di cui le si tenne parola, l’amo, e son persuaso di esserne riamato; ma circa al credito che ho presso di lei, come vostra maestà suppone, non posso dirle nulla, perchè non solo non l’ho mai messo alla prova, ma non me ne cadde neppur il pensiero, ed avrei desiderato che vostra maestà avesse voluto dispensarmi d’intraprenderlo, e lasciarmi godere della felicità d’amare e d’essere riamato, col disinteresse ch’erami prefisso in ogni altra cosa. Ma ciò che un padre domanda, è un dovere per un figlio che, com’io, suol obbedirgli in tutto. Benchè mio malgrado, e con inesprimibile ripugnanza, non ommetterò di esternare alla mia sposa il desiderio di vostra maestà, ma non le prometto di ottenerne il compimento; e se cesso divenire a tributarle i miei rispetti, sarà segno che non l’avrò ottenuto; intanto, le domando anticipatamente la grazia di perdonami, e considerare ch’ella medesima mi avrà ridotto a tale estremità. —

«Il sultano dell’Indie allora rispose al principe Ahmed: — Figliuolo, sarei dolentissimo se ciò che vi domando potesse cagionarmi il dispiacere di non più vedervi; capisco benissimo che non conoscete il potere d’un marito sopra una moglie. La vostra farebbe vedere di amarvi assai debolmente, se col potere, che come fata possiede, vi ricusasse una cosa di sì piccola conseguenza, come quella cui vi prego di chiederle per amor mio. Lasciate la vostra timidezza; essa non viene se non perchè credete di non essere corrisposto nel vostro amore, e ricordatevi che, per non saper dimandare, si viene spesso a privarsi di grandi vantaggi. Pensate che nell’egual guisa che voi non le neghereste ciò ch’ella domandasse, perchè l’amate, neppur essa vi ricuserà quanto le domanderete, perchè vi ama.»