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Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/585

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«Alaeddin, rapito all’ultimo segno, rispose tosto con questo verso:

«— Quanto io amo queste forme eleganti, e quelle rose che brillano sulle tue guance! —

«Zobeide, sensibile a quei complimenti, alzò il velo, e lasciò scorgere i lineamenti più regolari ed il viso più seducente. Siccome Alaeddin sembrava colpito dalla sua avvenenza, ella gli si avvicinò; ma il giovane la respinse dolcemente: essa scoprì allora a’ suoi occhi due braccia candide come la neve, lisce come l’avorio. Alaeddin, sempre più trasportato, volle a sua volta accostarsi alla giovane: questa lo pregò di allontanarsi, dicendogli che, siccome era affetto di lebbra, il suo contatto poteva riescirle dannoso.

«Alaeddin, sorpreso, domandò a Zobeide chi fosse la persona che avevate fatto un tale racconto. — Fu,» diss’ella, «una vecchia che viene a visitarmi di frequente. — Ebbene,» soggiunse Alaeddin,» fu senza dubbio costei, la quale mi disse, che voi eravate affetta della stessa malattia.» I due sposi riconobbero allora lo strattagemma, e non temettero più di darsi vicendevolmente le prove della reciproca loro tenerezza.»

NOTTE DIII

— La domane mattina, Alaeddin trovò che la sua felicità era passata colla celerità dell’uccello che fende l’aria, e si lagnò della necessità in cui si trovava di separarsi dalla sposa. — Io ho soltanto pochi momenti di godere della vostra presenza,» le disse colle lagrime agli occhi. La giovane avendolo pregato di spiegarsi: