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Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/687

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da cortine di seta gialla, panneggiate con grazia, che si abbassavano a piacere con portentosa celerità.

«Sedutosi il falso califfo, sul trono, gli fu messa davanti la spada reale, e tutti i suoi cortigiani presero posto al disotto di lui. Si portarono poscia molte tavole imbandite dei cibi più delicati. Quando ciascuno ebbe mangiato, si sparecchiò, e recaronsi bacili d’oro per lavarsi. Si recarono poscia, per bere, gran quantità di vasi d’ogni specie, gli uni più preziosi degli altri, in cui servironsi in giro i più squisiti vini.

«Lo schiavo che versava da bere ai convitati, giunto presso Aaron, volle riempirne la tazza, ma il principe la ritirò con sollecitudine, attirando con ciò gli sguardi del falso califfo.

«— Perchè il vostro camerata non vuol bere?» domandò a Giafar. — È molto tempo, signore,» rispose questi, «che non fa uso di tal bevanda. — Ebbene,» riprese il falso califfo, «non bisogna tediarlo. Qui vi sono ogni sorta di liquori: chieda liberamente quello ch’è solito bere.» Alraschild avendo domandato un altro liquore, il falso califfo invitollo cortesemente a corrispondergli, ogni qual fiata giungesse la sua volta di bere.

«Passarono così parte della sera bevendo e divertendosi. Quando il vino cominciò a scaldare i cervelli, Alraschild disse a Giafar: — Il mio stupore aumenta sempre più; non mai fu dato nel mio palazzo un banchetto sì sontuoso o magnifico! Vorrei sapere chi è questo giovine. — «Il falso califfo, vedendo i due stranieri in colloquio sottovoce, disse a Giafar: — Dovete sapere, ospite mio, che il parlar basso coi vicini nelle adunanze è il difetto solito della malignità.

«— La malignità,» rispose subito Giafar, «qui non può trovar da dire; il mio compagno mi diceva