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Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/75

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NOTTE CDXVI


— Sire,» proseguì la domane Scheherazade, «dopo le cerimonie consuete, in occasione del suo avvenimento alla corona, e dopo quelle de’ funerali del padre, il nuovo sultano Khosru-Schah, tanto per inclinazione come per dovere, all’uopo di prender cognizione di ciò che accadeva, uscì una sera dal palazzo, verso le due ore di notte, accompagnato dal suo gran visir, travestito come lui. Mentre trovavasi in un quartiere, popolato dalla gente bassa, passando per una via udì parlare ad alta voce. Si avvicina alla casa d’onde veniva il rumore; e guardando da una fessura della porta, vede lume, e tre sorelle sedute sur un sofà, che conversavano dopo cena. Dal discorso della maggiore, ebb’egli in breve compreso che i desiderii formavano il soggetto del loro discorso.

«— Poichè siamo sugli augurii,» diceva essa, «io m’augurerei di avere per marito il fornaio del sultano; mangerei a sazietà di quel pane così delicato che si chiama per eccellenza pane del sultano. Vediamo se il vostro gusto sia pari al mio. — Ed io,» soggiunse la seconda sorella, a mio desiderio sarebbe di esser moglie del capocuoco del sultano; mangerei squisiti intingoli, e siccome sono persuasa che il pane del sultano sia comune nel suo palazzo, non ne mancherei di certo. Vedete, sorella,» soggiunse, volgendosi alla maggiore, «che il mio gusto non la cede al vostro. —

«La più giovane delle sorelle, dotata di molta