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STORIA

DI DGERBERI IL FACCHINO.

— Eravi in Bagdad un lapidario di nome Abdullata Dgerberi, che aveva un unico figlio, al quale fece dare la miglior educazione. Sentendo avvicinarsi l’angelo della morte, Abdullah fece venire il figlio, oggetto della sua tenerezza, per abbracciarlo, ed ebbe ancora il tempo di dargli qualche consiglio, di cui credeva avesse bisogno la sua giovinezza. Dopo avergli istantemente raccomandato di non mai discostarsi dai precetti della religione, lo scongiurò soprattutto di non pensare il dì prima a ciò che doveva fare il domani. Morì abbracciando il figliuolo, che non aveva ’ancora compiti vent’anni.

«Il giovine Dgerberi non conservò a lungo il dispiacere che avrebbe dovuto provare per la morte del genitore. Senza contare i mobili e le case ereditate, trovò nel sotterraneo della sua dimora cinquecentomila zecchini contenuti in cinquanta vasi di porfido. Questa somma parve i tesori dell’India ad un giovine che non aveva idea alcuna delle ricchezze, e si abbandonò ad ogni sorta di spese. Aquistò donne pe’ suoi piaceri, e volle che fossero vestite con magnificenza; e tenne tavola aperta per tutti i giovani della sua età, i quali facevangli un’assidua corte, adulando la sua vanità, cogli elogi che prodigavano alla sua liberalità, alla sua musica, alla bontà de’ suoi vini ed alla delicatezza della sua tavola.

«Una tal condotta dissipò in breve la ricca eredità. Quand’ebbe venduti i vasi, alienò le case di città e di campagna, conservando le donne più a