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Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/783

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a terra, ed alta fu la nostra sorpresa scorgendovi un pesce di figura umana. Mio padre propose di portarlo alla città e mostrarlo per qualche mercede; ma l’uomo marino, dopo averci guardati, quasi ne avesse intesi, si mise, con nostra meraviglia, a favellarci così: — Io sono un abitante delle acque e creatura di Dio come voi; concedetemi la libertà, non abusate del sonno che mi fè cadere nelle vostre reti, e se m’accordate tal grazia, io vi domando pochissimo tempo per portarvi di che arricchire notabilmente. —

«L’uomo marino c’impietosì colle sue preghiere, giurando pel santo nome di Dio che v’erano dodicimila musulmani nel mare, e ch’egli andava ad adunarne gran numero per raccogliere i doni che voleva farci per l’acquistata libertà. Avendo acconsentito alle sue istanze, ci salutò, pregandone di trovarci due giorni dopo al luogo dov’eravamo, e lo vedemmo subito rituffarsi in mare.

«Noi fummo esatti all’appuntamento: l’uomo marino comparve seguito da molti individui della sua specie, i quali avevano anzi l’aspetto d’essere a lui sommessi, carichi di prodigiosa quantità di pietre preziose, che ci furono presentate dall’uomo cui avevamo resa la libertà. Le gemme che vedete, o sire, sono di tal numero. Abbandonammo il nostro mestiere di pescatore, dopo aver collocato nostro padre in modo che nulla gli possa mancare; e diviso tra noi quattro fratelli quanto avevaci dato l’uomo marino, facemmo commercio di gioielli nelle varie città da noi scelte per nostra residenza.

«— La beltà delle pietre prova la verità di questa storia,» riprese il re con ammirazione; poi, volgendosi a Dgerberi, gli disse: — Che rispondi tu a quanto vedesti ed udisti? Senza dubbio l’esame di tante ricchezze t’impedirà di mostrarmi la gemma che m’annunciasti con tanto elogio!