Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/152

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certo nemmeno a questo, e di tal guisa perverremo a scoprirne la dimora. —

«Adottata dal sultano l’idea, fece bandire il proposto proclama, e pazientemente aspettò la quarta notte, in cui, ripresi col visir gli abiti di dervis, recossi nella via dove le sorelle dimoravano. Tosto una luce ferì i loro occhi, e, non dubitando d’esser giunti alla meta, bussarono alla porta. — Chi è?» chiese una voce cui riconobbero per quella della sorella minore. — Due poveri dervis che vi pregano di conceder loro l’ospitalità; il cielo saprà rimeritarvene, —

«La madre ordinò che si aprisse, ed i due viaggiatori entrarono. Le dame, alzatesi, li accolsero cortesemente, e fattili sedere, li servirono di vari rinfreschi. Il sultano fu commosso dell’amabile accoglienza; ma desideroso d’intavolare il discorso: — Amiche» disse, loro, «voi dunque ignorate la intimazione del sovrano? Come accade dunque che sole in questa grande città, voi abbiate lume dopo la prima ronda notturna? — Buon dervis,» rispose la minore, «non si deve obbedienza al sultano se non allorchè egli emana ordini ragionevoli, e questa proibizione di tener lume essendo tirannica, non v’ha alcun obbligo di uniformarvisi, poichè il Corano dice: «Obbedire quando si ordina una cosa ingiusta, è come offender Dio.» Il sultano opra contro la legge divina, e segue l’impulso di Satana. Noi ci occupiamo ogni notte, insieme alla nostra buona madre, a filare una certa quantità di cotone per venderla la mattina appresso, ed il frutto di tal lavoro è l’unica nostra risorsa. —

«Colpito il sultano della giustezza e fermezza di tale risposta, tacque, e sottovoce indusse il ministro a promovere alla giovanetta qualche quistione che l’avesse ad imbarazzare. Allora il visir, prendendo la parola: - Signorina,» disse, e l’obbedienza agli ordini del sultano è un dovere per tutti. — È nostro