Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/235

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«Quel racconto mi commosse, e più non ebbi che un sol desiderio, quello di liberare i due amanti dai loro oppressori; cosìcchè, dopo brevi istanti di riflessione: — M’è venuto un pensiero,» gli dissi, «che, coll’aiuto di Dio, potrebbe metter fine a’ tuoi patimenti ed a quelli della tua amata. Quando la notte ti riconduca la donna, la collocheremo sul mio camello, che ha piè sicuro e veloce il passo: noi la seguiremo a cavallo, e prima di giorno avremo varcata la foresta; allora sarete al sicuro, lungi da’ vostri oppressori, e l’amore s’incaricherà della vostra felicità. Troverete facilmente un asilo, e sin ch’io viva, contate ambedue sulla sincera mia amicizia. — Permetti,» rispose il cugino, «che prenda consiglio dall’amica del mio cuore; me ne riporterò alla prudenza ed all’amor suo. —

«Giunta l’ora in cui era solita venire la giovane Araba, l’ospite non potè frenare la propria impazienza. Il tempo passava, e la sua bella non compariva; egli mettevasi all’ingresso della tenda, poi tornava presso di me, e pareva vivamente agitato. Infine, si mise a gridare, struggendosi in lagrime: — Ah! ella non viene; che le sia accaduta qualche disgrazia? Resta qui; io ne corro in traccia.» E presa la spada, si slancia, e dispare.

«Un’ora dopo udii il rumore de’ suoi passi, e lo vidi giungere con qualche cosa di voluminoso tra le braccia, chiamandomi con voce dolente. Corsi a lui. — Aimè! aimè!» gridava egli; «essa non è più; ecco quanto ne resta. Correva alle mie braccia, quando un lione l’assalì e la sbranò. Depose al suolo, singhiozzando, i preziosi avanzi della sua amica, mi disse di attenderlo, e partito colla velocità di una freccia, poco dopo tornò col teschio sanguinoso d’un lione, me lo gettò ai piedi, e nuovamente proruppe in amarissimo pianto. — O cugino!»