Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/269

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liati del principe una beltà si seducente, che il suo cuore se ne accese ratto, ed arse della brama di sposarla. La chiese per ciò al padre, ma grande fu la di lui sorpresa quando l’Arabo glie la negò, dicendo d’aver giurato di dare la figlia se non ad un uomo che sapesse qualche utile mestiere, col quale guadagnarsi il vitto. — Buon veglio,» replicò il sultano, «che bisogno ho io d’imparare un vil mestiere, quando tengo a mia disposizione i tesori d’un regno? — Sì,» rispose l’Arabo; «ma tali sono le vicissitudini delle cose di quaggiù, che potete perdere la vostra corona, e cadere nella massima miseria, se non sapete esercitare una professione, che possa servirvi all’uopo.» Sentì il principe tutta l’assennatezza del ragionamento, ed applaudito alla prudenza del padre, lo supplicò a non disporre della mano di sua figlia in favore d’un altro, essendo risoluto di adempire alla savia condizione impostagli, quella, cioè, d’imparare un’arte qualunque. Accondiscese l’Arabo, ed in breve il giovane monarca, sottopostosi ad un laborioso garzonato, divenne abilissimo nell’arte di tessere stuoie di giunco e di canna per ornamenti di sofà e cuscini: allora il vecchio Arabo più non si oppose alla di lui unione colla figliuola, e le nozze celebraronsi con pompa ed in mezzo ad ogni sorta di allegrezze.

«I due sposi passarono alcuni anni in una felicità perfetta. Il sultano era solito percorrere spessissimo, sotto l’abito di dervis, i vari quartieri della città, e col favore di quel travestimento scandagliare l’opinione del popolo ed invigilare la condotta della polizia. Un giorno, in una di quelle sue gite, venne a passar vicino alla bottega d’un trattore, e sentendosi appetito, vi entrò per prendere qualche cosa. Condotto, con tutti i possibili riguardi, in una sala appartata, guernita d’un tappeto a fiori coperto da