Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/36

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avrebbe meritato d’essere amata per sè stessa, accommiatossi da me, e correndo colla foga e la leggerezza d’un vento impetuoso che via passa, sparve come quella della notte scorsa, per andar a raggiungere le compagne. Mi trovai, dunque ancora solo nel giardino, la cui solitudine mi parve ognor più insoffribile. Vari pensieri m’agitarono: l’oggetto n’era sempre la principesca. — La tormentai troppo,» diceva fra me, «colle mie preghiere ed importune carezze; quel vago, oggetto non vorrà più far ritorno in questo giardino.»

NOTTE DLV

— «In breve altre idee succedendo a queste, io mi lusingai ch’essa non mi riduceva ad uno stato sì tristo, se non per provare la tenerezza e sincerità del mio amore. — Gran Dio! può essa dubitarne?» sclamava. «Ma che dico?» soggiungeva tosto; e io cerco di farmi vane illusioni: essa non mi ha trovato abbastanza tenero; sembrai forse troppo sensibile ai delicati vini che mi si offersero: io doveva disprezzare le schiave che mi ha date; or deve riguardarmi come un uomo unicamente dedito ai piaceri sensuali. Essa, si opporrà a tutto ciò che potrò chiederle; farà ancor più, si allontanerà da me, e più non la vedrò. Io m’ingannai; ciò ch’era d’oro lo resi d’argento; mi lasciai lusingare dalle false carezze di quella crudele, e credetti piacerle. Che cosa debbo pensare della di lei costanza? Aimè! il veleno della sua vista mi farà morire. —