Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/441

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corte. Nè volendo rimanere indietro del re Scehtan, fece anch’egli celebrare una seconda volta le nozze di Giansciah, nella qual occasione fu la città splendidamente illuminata, e Scems ricevette in dono cento giovani schiave di beltà abbagliante ed un sofà d’inaudita ricchezza. Ma perchè tutti partecipassero all’allegrezza di quelle feste, Scems pregò Tigmos di rendere la libertà a tutti i prigionieri, come anche al re Kefid. — Non è più da temere,» soggiunse, «poichè, grazie a' miei geni, potrei ridurlo alla ragione ogni qual volta tentasse di moversi.» Fu cavato adunque dalla prigione, e fattolo salire sur un vecchio cavallo zoppo: — Scems,» gli disse Tigmos, «mi ha supplicato di donarti la vita; torna a’ tuoi stati.» Tornò dunque a casa sulla sua montura zoppicante, mentre Tigmos, suo figlio e la sua sposa toccavano il colmo della felicità. E questo Giansciah son io, come già vi dissi al principio di codesta storia, io cui sono accadute sì incredibili avventure.

«— Benissimo,» disse Belukia stupefatto; «io vi aveva chiesto che tombe fossero queste in mezzo alle quali vi veggo seduto; ma ad onta del lungo vostro racconto, la mia curiosità non fu ancora appagata. Ben so di presente, o principe, che siete d’indole sensibilissima: ma ignoro ancora perchè siate seduto fra questi due avelli.

«— Nuotavamo,» proseguì Giansciah, «in un mare di delizie, e passammo un anno intero presso mio padre, in mezzo a feste ed a piaceri. Scorso l’anno, tornammo, portati da’ nostri geni, al palazzo di Diamanti. — E questo viaggio durò assai tempo, o principe?» interruppe Belukia. — Viaggiammo per dieci giorni,» disse Giansciah, «facendo ogni di un cammino di trenta mesi, e fermandoci di tanto in tanto per riposare. Un giorno