Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/470

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gorante di diamanti e di pietre preziose, su cui riposava una giovane, la cui beltà avrebbe eclissato lo splendore del sole. Portava in capo una corona d’oro, ed aveva una collana di perle ed una cintura di diamanti che abbagliava gli occhi di tutti quelli che la voleano mirare. L’emiro Mussa, fuor di sè alla vista di quella celeste bellezza, le si avvicinò e salutata con profondo rispetto. — Non vi renderà il saluto,» disse Talib, figliuolo di Sebi, «essendo morta da gran tempo; ma, imbalsamata da mano esperta, conserva le rose ed i gigli della carnagione, e quegli occhi brillanti, che sembrano pieni di vita, non sono animati che per l’effetto dell’argento vivo, cui il più leggero zeffiro che alita intorno a lei basta ad agitare.» Appiè della dama giacevano in un picciol letto due schiavi che parevano anch’essi vivi, tanto erano imbalsamati con arte, bianco l’uno, l’altro negro: il primo impugnava una picca d’acciaio e l’altro una sciabola. In mezzo ad essi era una tavola d’oro, sulla quale leggeasi l’iscrizione seguente:

«In nome di Dio clemente e misericordioso! In nome di Dio eterno ed immutabile! In nome di Dio sovrano degli avvenimenti e dei destini! O figlio degli uomini! quanto insensate sono le tue vaste speranze! Non sai che la morte sta di continuo in agguato per impadronirsi di te? Dov’è Adamo, padre de’ mortali? dove Noè? dove i re dell’India e dell’Irak? i Cosroe ed i Cesari? gli Amaleciti ed i Faraoni? I re dell’Arabia e della Persia? Dove sono le potenze sovrane della terra? dov’è Hamam? dov’è Karun? dove Scedad figlio di Aad ed i figli di Canaan? Per ordine di Dio hanno lasciato la terra, e dovranno pel giorno del giudizio render conto dello loro azioni.

«Figlio degli uomini, se non mi conosci, or ti dirò chi sono: son Tadmor, figlia del re degli Amaleciti. Regnai con gloria ed equità su stati più vasti di quelli del resto dei re. Ho formata la felicità de’ sudditi, e vissi potente, sinchè una carestia, che durò sette interi anni, venne ad affliggere il mio impero. Dopo tal flagello non restavano più vettovaglie. Gli animali adoperati nell’agricoltura, erano stati divorati, di modo che più non esisteva mezzo di prolungare i miei giorni. Invano prodigai tutti miei tesori; non potei procacciarmi un sol