Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/524

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suo zio governatore dell’Irak, ed incaricollo di aver cura di Mahadiyeh durante la propria assenza; messosi quindi in cammino alla testa di ventimila cavalieri, inoltrossi verso Omman.

«Geland, re di quel paese, aveva accordato ad Agib un asilo presso la sua corte, essendosi lasciato persuadere che il di lui fratello era non solo un usurpatore, ma ben anco un novatore in fatto di religione. Giurò egli pei raggi brillanti del sole (giuramento sacro) di sterminare tutta quella razza d’infedeli. — Va,» disse al suo visir Giovamird, «prendi teco settantamila uomini, marcia verso Kufah, e conducimi prigionieri tutti gli abitanti di quella città. —

«Marciò Giovamird alla testa dell’esercito sette giorni intieri senza fermarsi, e l’ottavo sostò in una bella valle, dove recossi a passeggiare pensando al suo piano di guerra. D’improvviso uscì fuor dagli alberi un cavaliere, armato sino a’ denti, che, inoltrandosi verso Giovamird, gli gridò: — Scendi di cavallo e spogliati degli abiti, o sei morto! —

«A tali parole, scintillarono al visir gli occhi di furore, e si pose in difesa, mentre l’avversario l’assaliva con tutte le forze, continuamente gridando: — Io sono Gemerkan, l’eroe delle battaglie!» Allontanatosi dal suo corpo d’esercito, questo principe erasi smarrito nella valle. Combatterono come due leoni, ed al tramonto la vittoria pendeva ancor incerta. Durante la notte, Gemerkan comandò alle truppe di far un giro intorno al monte per avvolgere i nimici, ed attaccarli ai primi raggi del sole, gridando: — Dio è grande!» Eseguito il qual ordine, al sorger dell’alba, tutta la montagna rimbombò delle grida: — Dio è grande! —

«Gl’infedeli, all’udir da tutte le parti quel grido, rimasero atterriti. I battaglioni de’ credenti piomba-