Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/706

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schiavo; «addio!» Mi guardai intorno, e maravigliai non meno della ricchezza dell’appartamento in cui mi trovava che della beltà della mia diletta, la quale aveva due schiave per servirla. Pece essa cenno di portare da cena, che fu squisita, e levate le carni, furono imbanditi frutti deliziosi e vino eccellente. Trovai nella mia amante una compagna amabile, voluttuosa e dotata di mille grazie. Passai con lei un mese, e in capo a questo, andai a trovare il vecchio, amico detta gioventù. — Ora vorrei,» gli dissi, «una schiava da venti zecchini per notte: ecco seicento zecchini per l’intiero mese.» Mi condussero al bagno, e poi in un’altra stanza, dove fui ricevuto da un’Armena di portentosa bellezza; aveva quattro schiave per servirla. La nuova mia amante, dotata di voce mirabile, cantò quanto segue:

««O soavi profumi delle regioni nelle quali Babilonia torreggia, portate, ve ne scongiuro, in quegl’incantati luoghi i miei voti! Colà abita colei che porta nel l’anima degli amanti il turbamento, senza lor concedere il più lieve ristoro.»»

«Passai con lei un mese intero in seno alle più inebbrianti voluttà. Indi me ne andai a trovare il vecchio, all’uopo di accomodarmi con lui per un mese ancora, e gli chiesi una schiava da quaranta zecchini; ma egli mi disse che doveva attendere almeno una notte, poichè quella vicina era destinata ad una festa generale per tutte le giovani che la passavano in allegria. Mi consigliò dunque egli a passare la notte sulla terrazza. Dopo avervi a lungo passeggiato, scopersi un lume per una fessura; m’abbassai e vidi, in una camera magnificamente ornata, due amanti nel più tenero colloquio. Smarrii la ragione, Commendatore de’ credenti, allorchè vidi una giovane di rara beltà nelle braccia d’un altro. Discesi dalla terrazza, e recatomi alla sala dov’erano