Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/724

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la cui testa scorgessi alcuni passi più innanzi. Nel medesimo tempo entrò nel bagno, per visitarlo, il luogotenente di polizia, con dieci de’ suoi. — Giovane,» dissero, «siete voi che uccideste questa fanciulla! — Dio è testimonio,» rispose Ibrahim, «che ignoro l’autore d’un tal misfatto, e che non fui io ad ucciderla.» Ma il luogotenente di polizia, accorgendosi che le mani d’Ibrahim erano tinte di sangue, soggiunse: — Non abbiamo bisogno d’altra prova: gli si tagli la testa.» A tal ordine mandò il principe un altissimo strido, ed alcuni del seguito del luogotenente gli fecero osservare come quel giovane non avesse aspetto d’omicida; ma egli non volle ascoltarli. — Gli si tagli la testa,» ripetè. Si fece mettere il principe inginocchio, gli si bendarono gli occhi, e già il manigoldo stava per iscagliare il colpo mortale, allorchè mostrassi d’improvviso una truppa di cavalieri che, avanzando di gran galoppo, gridavano da lungi: — Ferma! ferma!» Ed ecco qual era la cagione dell’arrivo di quei cavalieri, capitati, sì a proposito.

«Allorchè Khasib, sultano d’Egitto, fu istruito della fuga del figliuolo, inviò il suo gran visir al califfo Aaron-al-Raschild, onde pregarlo di rimandargli il principe Ibrahim se mai si trovasse a Bagdad. Sollecitossi il califfo a far fare le indagini necessarie, e si seppe che il principe era partito per Basra. Allora Aaron diede al visir del sultano una scorta di cavalieri per accompagnarlo in quella città, ed erano appunto coloro che giunsero nel momento del supplizio. Il visir, riconosciuto da lontano Ibrahim benchè avesse gli occhi bendati, lo liberò dalle mani del carnefice, e fece amari rimproveri al vali per aver voluto far tagliare la testa ad un principe.

«Il luogotenente si scusò dicendo che le apparenze stavano contro il giovane; ma tacque allorchè i suoi