Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/734

Da Wikisource.

320


— Chi sa,» riprese il marito, «che forse non mi lasci anche questo? — «Intanto Kamar-al-Zeman venne a concertarsi colla moglie del barbiere. — Non ripigliate il vostro anello,» gli diss’ella, «sotto pretesto che sia troppo grande: mostrate al gioielliere un’altra pietra preziosa di mille zecchini, ed attendendo che il lavoro sia compiuto, date quaranta zecchini al padrone, e tre a ciascun garzone.» Il giovane ricompensò con una borsa di trecento zecchini il consiglio, cui puntualmente seguì. Il gioielliere non trovò più espressioni per dipingere alla moglie la liberalità del forastiero. — Ma non ti vergogni,» diss’ella, «di non aver ancora invitato un uomo che si mostra teco tanto generoso? So che non sei avaro, ma mi pare che qualche volta tu manchi alle convenienze: quindi voglio assolutamente che preghi il gentil forastiere di venir a cena domani. —

«Il giorno seguente, Kamar-al-Zeman, consultata la moglie del barbiere e dimostratale la sua gratitudine con una borsa di quattrocento zecchini, si recò alla bottega del gioielliere per provar l’anello. — Così va bene,» disse; «ma la pietra non mi piace; tenetela per una delle vostre schiave, e montatemi quest’altro diamante. Ecco cento zecchini pel vostro disturbo, e perdonate l’incomodo. — Sono confuso della vostra generosità,» rispose il gioielliere; «accordatemi, ve ne prego, l’onore di venir stasera a cena da me. — Siete troppo buono; accetto colla più viva gratitudine.

— «La sera, il gioielliere si recò all’okal per prendere l’ospite, e condottolo a casa, lo trattò ad una splendida cena, e dopo il caffè, una schiava servì il sorbetto preparato colle proprie mani dalla moglie del gioielliere. Appena n’ebbero bevuta una tazza, ambedue caddero in profondo sonno. La schiava si