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| francesco dandolo | 161 |
» expensas communis, de grossis . xviij . in die. Insuper cum comes Duymus non venerit ad faciendum sacramentum fidelitatis, dato ei termino usque ad pasca resuretionis elapsum, et ipse non videatur curare de veniendo ; commitatur dicto ambaxatori etiam quod preeipiat dicto corniti, quod veniat personaliter usque ad sanctum Michaelem proximum, et si non venerit, quod nos faciemus fieri et mitti executioni secundum formam concessionis.»[1]
Questo documento interessante ci fa conoscere una nuova officina in cui si batteva moneta scadente ad imitazione di quella di Venezia, ed indica un nuovo campo di ricerche ai numismatici. I conti Frangipani, contro i quali il Senato si mostra giustamente indignato, e che tenevano in feudo l’isola di Veglia da Venezia; e Segna dai re d’ Ungheria, diedero spesso motivo a lagni, sia per questa che per altre colpe. Allorché i veneziani presero possesso di Veglia (1481), chiamati dagli abitanti che non potevano tollerare la tirannia del conte Zuane, Antonio Vinciguerra nella sua relazione[2] muove terribili accuse al principe spodestato, e, fra le altre, anche quella di fabbricare moneta falsa.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Misti, Reg. 18, c. 33.
- ↑ V. Solitro. Documenti storici sull’Istria e la Dalmazia. Venezia, 1844. — L’ultimo conte di Veglia. Relazione del segretario Antonio Vinciguerra.