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e prime monete di venezia 25

divenne più stabile e più forte, per opera del doge Pietro Orseolo II. Questo principe saggio strinse i legami coll’Oriente, ed ottenne grandi vantaggi commerciali col crisobolo dell’anno 9921; nè dimenticò le buone relazioni coll’Occidente, siffattamente che dell’imperatore Ottone III egli fu amico più che alleato: conquistò la Dalmazia, aggiungendo, primo, al nome di doge di Venezia quello di duce della Dalmazia, e preparò con politica sagace e fortunata la grandezza della Repubblica e il predominio sui mari.

Prima però di proseguire e di varcare il mille, bisogna soffermarsi alquanto sui celebri trattati tra i dogi di Venezia e gli imperatori, tanto discussi da tutti coloro che si occuparono della moneta veneziana. Essi furono tirati in campo dal Liruti, che li trovò in un manoscritto della biblioteca di S. Daniele in Friuli, e largamente commentati dallo stesso autore2, da Girolamo Zanetti3 e dal conte Carli4, che vollero con ciò provare, essere il diritto di zecca pressochè contemporaneo alle origini della Repubblica.

Il più antico di tali documenti è quello attribuito all’imperatore Lotario I colla data del febbraio 840, nel quale non si fa parola del diritto di zecca, ma si parla dei denari mancosi e della lira veneziana5. Questo diploma fu impugnato dal S. Quintino6 che volle dimostrarlo apocrifo od almeno interpolato;

  1. Crisoboli (dalla bolla d’oro di cui erano fregiati) si chiamavano i diplomi concessi dagl’imperatori bizantini. Nel crisobolo dell’anno 992 gl’imperatori Basilio e Costantino accordavano ai Veneziani nuovi privilegi e favori specialissimi. — Romanin, opera citata, vol. I, pag. 267. — Gfrörer, opera citata, pag. 228.
  2. Liruti, opera citata, pag. 130 e segg.
  3. Zanetti Girolamo, opera citata, Venezia, 1750.
  4. Carli, opera citata, vol. I, pag. 115 e segg.
  5. Il passo è il seguente: Volumus ut pro sex mane. sol’, ab uno homine sacramentum recipiatur, et si plus fuerit usque ad duodecim mane, duorum hominum juratnentum sit satisfactum, et ita usque ad duodecim libras veneticorum semper addendum per duodecim electos juratores. Nam si ultra duodecim librarum quaestio fuerit, juratores ultra duodecim non excedant.
  6. S. Quintino, opera citata, pag. 27.