Pagina:Le opere di Galileo Galilei I.djvu/14

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avvertimento. 11

che con altre ipotesi, si spiegano come inavvertenze di chi trascrive.1 Chiari segni di trascrizione sarebbero pure i luoghi nei quali si trascorre (sebbene poi siasi corretto) da una data parola al passo di qualche linea più sotto, dove la parola medesima trovasi ripetuta.2 Osservabili sono pure alcuni passi guasti e privi di senso, ed alcune lacune, le quali sembrano non potersi attribuire se non al fatto che chi trascriveva non capiva il carattere dell’originale. Notevolissimi poi ci sembrarono i casi di lacune lasciate e, con tutta evidenza, posteriormente riempiute, nei quali lo spazio rimasto bianco non essendo bastato a contenere tutte le parole omesse, sebbene si scrivessero in carattere più minuto, il di più dovette aggiungersi in margine.3 Ma non mancano i luoghi i quali indurrebbero a credere che Galileo, pur trascrivendo, compilava, ossia esprimeva in altri termini il senso del testo che aveva sotto gli occhi.4

Egli era soprattutto da evitarsi che queste scritture, le quali noi avessimo date per Galileiane, si fossero trovate poi stampate ed attribuite ad altro autore; e per ischivare questo massimo pericolo abbiamo usata la maggior diligenza possibile, sia cercando noi stessi, per quanto lo consentivano le cognizioni nostre, sia ricorrendo al parere degli uomini in tali specialissimi studi maggiormente competenti. E poichè l’esame di queste scritture scolastiche pone in evidenza che non differiscono di molto dai consueti commentari coi quali a que’ tempi si esponevano dalla cattedra le dottrine d’Aristotele, ci parve, fino a prova contraria, di poter assumere che tale origine sia ad esse da attribuirsi, come conforterebbero a credere un «ut videtis», e un «adverte me loqui», cattedratico per eccellenza, che vi si riscontrano.

In tali conchiusioni ci conferma l’età di queste scritture, la quale da un luogo d’esse rimane perfettamente determinata. Discutendo la questione «Quid sentiendum sit de origine mundi secundum veritatem», si divide il tempo passato

  1. Vedi, p. e., il caso avvertito a pag. 18, nota 3. Notevole è pure che a car. 97 r., alle parole «Secundum, id quod connotative» (pag. 171, lin. 24), secundum, numerale, non è già scritto 2um, come di solito, e come subito appresso, e in questo stesso passo, 3um; ma è scritto im, che è l’abbreviazione costantemente adoperata ad indicare la preposizione secundum.
  2. Veggasi, p. e., il luogo della c. 5 r., avvertito nella nota 1 della pag. 17. Così pure a c. 4 r., dopo lo parole «Albertus Magnus ponit obiectum» (pag. 16, lin. 5), fu scritto «totius Physicae» e poi fu cancellato; ed è dovuto al «totius Physicae» della linea seguente. A car. 18 r. dopo le parole «eiusdem climatis, respectu» (pag. 41, lin. 18) si saltò alle parole «eosdom aspectus successive»; poi fu cancellato o ripreso.
  3. A car. 75 v., lin. 7, era stata lasciata una lacuna corrispondente alle parole «aquae ut patet experientia est minime activus; ergo non potest refrangere» (pag. 136, lin. 32-33); la quale non essendo stata sufficiente a contenere tutto il passo, le parole «ergo non potest refrangere» si aggiunsero marginalmente, richiamandole con relativo segno al loro luogo nell’interno del testo. Egualmente a car. 5 r., lin. 8, le parole «consecutive et per accidens, sed per se» (pag. 17, lin. 10-11) sono scritte in margine e richiamate poi nel testo; e qui l’indizio che l’amanuense non aveva calcolato bene lo spazio bianco da riempire con le parole tralasciate, è tanto più evidente, in quanto della parola «consecutive» le prime due sillabe sono nel testo e le altre tre nel margine.
  4. A car. 70 r., dopo «sed hoc est contra experientiam: ergo» (pag. 130, lin. 31), era scritto: «Tertium argumentum: si qualitas non est forma elementi», le quali parole furono poi cancellate: cioè si ripeteva, in termini poco diversi, l’argomento esposto nel periodo precedente.