Pagina:Le opere di Galileo Galilei IV.djvu/111

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intorno alle cose che stanno in su l’acqua ecc. 107


non è la forza sua propria premente e scacciante, onde e’ si tuffa e ne muove quella porzione che è proporzionata alla sua possanza. Non è dunque resistenza alcuna nell’acqua all’esser divisa, anzi non vi son parti che a divider s’abbino. Soggiungo appresso che, quando pure vi si trovasse qualche minima resistenza (il che assolutamente è falsissimo), forse nel voler con un capello muover una grandissima macchina natante, o nel voler con la giunta di un minimo grano di piombo far descendere al fondo, o con la suttrazzione far salire alla superficie, una gran falda di materia similissima in gravità all’acqua (il che parimente non accaderà quando si operi destramente); notisi che una cotal resistenza è cosa diversissima da quella che gli avversarii producono per causa del galleggiar le falde di piombo o l’assicelle d’ebano; perché si potrà fare una tavola d’ebano, che posata su l’acqua galleggi, né sia bastante anco la giunta di cento grani di piombo, posativi sopra, a sommergerla, che poi, bagnata, non solo descenderà levati i detti piombi, ma non basteranno alcuni suveri o altri corpi leggieri attaccatigli a ritenerla dallo scender sino al fondo. Or veggasi se, dato anco che nella sustanza dell’acqua si trovasse qualche minima resistenza alla divisione, questa ha che far nulla con quella causa che sostien l’assicella sopra l’acqua, con resistenza centomila volte maggiore di quella che altri potesse ritrovar nelle parti dell’acqua. Né mi si dica che la superficie solamente dell’acqua ha tal resistenza, ma non le parti interne, o veramente che tal resistenza si trova grandissima nel cominciare a fendere, come anco par che nel cominciare il moto si trovi maggior contrasto che nel continuarlo: perché, prima, io permetterò che l’acqua si agiti e si confondano le parti supreme con le medie e con l’infime, o vero che si levino totalmente via quelle di sopra e si adoprino quelle di mezo; e tuttavia si vedrà far l’effetto stesso: di più, quel capello che tira una trave per l’acqua ha pur a divider le parti supreme, ed ha anco a cominciare il moto; e pur lo comincia, e pur le divide: e, finalmente, mettasi l’assicella a mezz’acqua, e quivi si tenga sospesa un pezzo e ferma, e poi lascisi in libertà, che ella subito comincerà il moto e lo continuerà sino al fondo; ma, di più, la tavoletta quando si ferma sopra l’acqua, ha già non pur cominciato a muoversi ed a dividere, ma per buono spazio si è affondata.

Ricevasi, dunque, per vera e indubitata conclusione, che l’acqua non ha renitenza alcuna alla semplice divisione, e che non è possibile il ritrovar corpo solido alcuno, di qualunque figura esser si voglia, al quale, messo nell’acqua, resti dalla crassizie di quella proibito