Pagina:Le opere di Galileo Galilei V.djvu/139

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intorno alle macchie solari ecc. 139

vazioni avesse auta contezza: poi che egli non solo ammesse le manifeste esperienze tra i mezi potenti a concludere circa i problemi naturali, ma diede loro il primo luogo. Onde se egli argomentò l’immutabilità de’ cieli dal non si esser veduta in loro ne’ decorsi tempi alterazione alcuna, è ben credibile che quando ’l senso gli avesse mostrato ciò che a noi fa manifesto, arebbe seguita la contraria opinione, alla quale con sì mirabili scoprimenti venghiamo chiamati noi. Anzi dirò di più, ch’io stimo di contrariar molto meno alla dottrina [Cielo Alterabile aristotelicamente.] d’Aristotele col porre (stanti vere le presenti osservazioni) la materia celeste alterabile, che quelli che pur la volessero sostenere inalterabile; perchè son sicuro ch’egli non ebbe mai per tanto certa la conclusione dell’inalterabilità, come questa, che all’evidente esperienza si deva posporre ogni umano discorso: e però meglio si filosoferà prestando l’assenso alle conclusioni dependenti da manifeste osservazioni, che persistendo in opinioni al senso stesso repugnanti, e solo confermate con probabili o apparenti ragioni. Quali poi e quanti sieno i sensati accidenti che a più certe conclusioni c’invitano, non è difficile l’intenderlo. Ecco, da virtù superiore, per rimuoverci ogni[Indizii, prove, dimostrazioni dell’alterabilità celeste]

arrecargli l’opinione tanto conforme all’indubitabilità veritadi delle Sacre Lettere, le quali in tanti luoghi molto aperti e manifesti ci additano l’instabile e caduca natura della celeste materia? non defraudando però intanto delle meritate lodi quei subblimi ingegni che con sottili specolazioni seppero a i sacri dogmi contemperar l’apparenti discordie de i fisici discorsi. Li quali ora è ben ragion che cedino, rimossa anco la suprema autorità teologica, alle ragioni naturali d’altri autori gravissimi e più alle sensate esperienze alle quali io non dubiterei che Aristotele stesso avrebbe conceduto poi che noi veggiamo aver egli non solo ammessa l’esperienza tra i mezi potenti a concludere circa i problemi naturali, ma concedutogli ancora il luogo primario: onde se egli argomentò l’immutabilità de’ cieli dal non si esser veduta in loro ne i decorsi tempi alcuna sensibile alterazione, e ben credibile che quando il senso gli avesse mostrato ciò ch’a noi fa manifesto, avrebbe seguita la contraria opinione, alla quale con sì mirabili scoprimenti venghiamo chiamati noi. Ecco la Bontà divina, per rimuoverci dalla mente ogni ambiguità, inspira ad alcuno etc. Una terza stesura di questo luogo si legge in A, di mano di Galileo e con cassaticci, su di un cartellino incollato sul margine destro della carta che contiene la prima stesura; e fu altresì trascritta al pulito da Galileo sul foglio che ora nel cod. Volpicelliano B è segnato 65. Questa terza stesura diversifica dalla lezione della stampa per poche varianti, delle quali le più notevoli sono queste: pag. 139, lin. 3, ma gli concedette il primo luogo (mutato nel foglio 65 del cod. Volpicelliano in ma concedette loro il primo luogo); lin. 10-11, la volessero difender e sostenere inalterabile; perchè io son sicuro che Aristotele non ebbe mai; lin. 15, opinione al senso stesso repugnante; lin. 15-16, manca e solo... ragioni. Da ultimo, il testo quale è dato dalla stampa si legge, anche questa volta di pugno di Galileo, nel carticino segnato 74 del cod. Volpicelliano B1. Dobbiamo
  1. A queste successive modificazioni del presente luogo si riferiscono alcuni passi delle lettere di Federico Cesi a Galileo dei 10 novembre, 14 e 28 dicembre 1612, 26 gennaio 1613, e di quella di Galileo al Cesi dei 5 gennaio 1613.