Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/240

Da Wikisource.

dette in cotal guisa, non ci ànno lasciato nulla da desiderare nella verità del concetto sotto cotali scherzi contenuto, il quale, per esser per sé noto e manifesto, non avea bisogno d’altra più profonda dimostrazione. Ma che in una questione massima e difficilissima, qual è il volermi persuadere trovarsi realmente, e fuor di burle, in natura un particolare orbe celeste per le comete, mentre che Ticone non si può sviluppar nell’esplicazion della difformità del moto apparente di essa cometa, la mente mia debba quietarsi e restar appagata d’un fioretto poetico, al quale non succede poi frutto veruno, questo è quello che il signor Mario rifiuta, e con ragione e con verità dice che la natura non si diletta di poesie: proposizion verissima, ben che il Sarsi mostri di non la credere, e finga di non conoscer o la natura o la poesia, e di non sapere che alla poesia sono in maniera necessarie le favole e finzioni, che senza quelle non può essere; le quali bugie son poi tanto abborrite dalla natura, che non meno impossibil cosa è il ritrovarvene pur una, che il trovar tenebre nella luce. Ma tempo è ormai che vegniamo a cose di momento maggiore; però legga V. S. Illustrissima quel che segue.



- 8 -


"Venio nunc ad graviora. Tribus potissimum argumentis cometæ locum indagandum censuit Magister meus: primum quidem, per parallaxis observationes; deinde, ex incessu eiusdem ac motu; denique, ex iis quæ tubo optico in illo observarentur. Conatur Galilæus singulis abrogare fidem, eaque suis momentis privare. Cum enim ostendissemus, cometam, ex variis diversorum locorum observationibus, parvam admodum passum esse aspectus diversitatem, ac propterea supra Lunam statuendum, ait ille, argumentum ex parallaxi desumptum nihil habere ponderis, nisi prius statuatur, sint ne illa quæ observantur vera unoque loco consistentia, an vero in speciem apparentia ac vaga. Recte is quidem; sed non erat his opus. Quid enim, si statutum iam id haberetur? Certe, cum certamen nobis præsertim esset cum Peripateticis, quorum sententia quamplurimos etiam nunc sectatores recenset, frustra ex apparentium numero cometas exclusissemus, cum nullius nostrum animum pulsaret hæc dubitatio. Sane Galilæus ipse, dum adversus Aristotelem disputat, non acriori ac validiori utitur argumento, quam ex parallaxi desumpto. Cur igitur, simili atque eadem prorsus in caussa, nobis eodem uti libere non liceret?"

Per conoscer quanto sia il momento delle cose qui scritte, basterà restringere in brevità quello che dice il signor Mario e questo che gli viene opposto. Scrisse il signor Mario in generale: "Quelli che per via della paralasse voglion determinar circa ’l luogo della cometa, ànno bisogno di stabilir prima, lei esser cosa fissa e reale, e non un’apparenza vaga, atteso che la ragion della paralasse conclude ben negli oggetti reali, ma non negli apparenti", com’egli essemplifica in molti particolari; aggiunge poi, la mancanza di paralasse rendere incompatibili le due proposizioni d’Aristotile, che sono, che la cometa sia un incendio, ch’è cosa tanto reale, e sia in aria molto vicina alla Terra. Qui si leva su il Sarsi, e dice: "Tutto sta bene, ma è fuor del caso nostro, perché noi disputiamo contro Aristotile, e vana sarebbe stata la fatica in provar che la cometa non fusse una apparenza, poi che noi convegniamo con lui in tenerla cosa reale, e come di cosa reale il nostro argomento, preso dalla paralasse, conclude; anzi (soggiunge egli) l’avversario stesso non si serve d’argomento più valido contro Aristotile; e se ei se ne serve, perché nell’istessa