Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/254

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pura affezzione dell’occhio nostro; sì che per quelli che fussero di vista così acuta che potesser distinguer quelle minutissime stelle, le nubilose e la Via Lattea non sarebbono in cielo. Queste, come conclusioni non dette da altri sin ora, credo che non sarebbono ammesse dal Sarsi, e ch’egli pur vorrebbe che il signor Mario avesse peccato nel chiamare accrescimento quello che appresso di lui si deve dir transito dal non essere all’essere. Ma sia come si voglia; io ho licenza dal signor Mario (per non ingaggiar nuove liti) di conceder tutta la vittoria al Sarsi di questo duello, e di quello ancora che segue appresso, dove il Sarsi si contenta che la scoperta delle fisse invisibili si possa chiamare accrescimento infinito in ragion di visibile, ma non già in ragion di quanto: tutto questo se gli conceda, pur che ei conceda a noi che e le invisibili e le visibili, crescano pure in ragion di quel che piace al Sarsi, crescono finalmente in modo che rendon totalmente falso il detto del suo Maestro, che scrisse ch’elle non crescevano punto in veruna maniera; sopra il qual detto era fondato il terzo delle ragioni, colle quali egli aveva intrapreso a provar la primaria intenzione del suo trattato, cioè il luogo della cometa.

Ma che risponderem noi ad un altro errore, pure in logica, che il Sarsi ci attribuisce? Sentiamolo, e poi prenderemo quel partito che ci parrà più opportuno. Non contento il Sarsi d’aver mostrato come il più volte già nominato scoprimento delle fisse invisibili non si deve chiamare accrescimento infinito, passa a provar che il dire ch’ei proceda dal telescopio è grave errore in logica, le cui leggi vogliono che quando un effetto può derivare da più cause, malamente da quello se n’inferisca una sola: e che il vedersi quello che prima non si vedeva sia un degli effetti che posson depender da più cause, oltre a quella del telescopio, chiaramente lo mostra il Sarsi nominandole ad una ad una; le quali tutte era necessario rimuovere, e mostrar com’elle non erano a parte nell’atto del farci vedere col telescopio le stelle invisibili. Sì che il signor Mario, per fuggir l’imputazione del Sarsi, doveva mostrare che l’accostarsi il telescopio all’occhio non era, prima, uno accrescere in se stessa e per se stessa la virtù visiva (che pur è una causa per la quale, senz’altro aiuto, si può veder quel che prima non si poteva); secondo, doveva mostrar che la medesima applicazione non era un tor via le nuvole, gli alberi,