Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/284

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Sputi solamente in terra il Sarsi, ché senz’altro, dal luogo dove va la reflession del raggio solare, vedrà l’aspetto d’una stella naturalissima. In oltre, qual corpo posto in gran lontananza, venendo tocco dal Sole, non apparirà una stella, massime se sarà tanto alto che si possa veder di notte, come si veggon l’altre stelle? E chi distinguerebbe la Luna, veduta di giorno, da una nuvola tocca dal Sole, se non fusse la diversità della figura e dell’apparente grandezza? Niuno sicuramente. E finalmente, se la semplice apparenza deve determinar dell’essenza, bisogna che il Sarsi conceda che i Soli, le Lune e le stelle, vedute nell’acqua ferma e negli specchi, sien veri Soli, vere Lune e vere stelle. Cangi pure il Sarsi, quanto a questa parte, opinione, né creda col citare autorità di Ticone, di Taddeo Agecio o d’altri molti, di megliorar la condizion sua, se non in quanto l’avere avuto uomini tali per compagni rende più scusabile il suo errore.



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Segua V. S. Illustrissima di leggere. "Quia tamen toto eo tempore quo noster hic fulsit, Galilæus, ut audio, lecto affixus ex morbo decubuit, neque ei unquam fortasse per valetudinem licuit corpus illud pellucidum oculis intueri, aliis propterea cum illo agendum esse duximus argumentis. Ait igitur ipse, vaporem sæpe fumidum ex aliqua Terræ parte in altum supra Lunam etiam ac Solem attolli, et simul atque extra umbrosum Terræ conum progressus Solis lumen aspexerit, ex illius veluti luce concipere et cometam parere; motum autem sive ascensum vaporis huiusmodi, non vagum incertumque, sed rectum nullamque deflectentem in partem, existere. Sic ille: at nos harum positionum pondus ad nostram trutinam referamus.

Principio, materiam hanc fumidam et vaporosam per eos forte dies ascendisse constat e Terra, cum, vehementissimis boreæ flatibus toto late cælo dominantibus, dispergi facile ac disiici potuisset; ut mirum profecto sit, impune adeo tenuissimis levissimisque corpusculis licuisse inter sævientis aquilonis iras constantissimo gressu, qua cœperant via, in altum ferri, cum ne gravissima quidem pondera tunc aëri semel commissa eiusdem vim atque impetum superare possent. Ego vero adeo pugnare inter se existimo duo hæc, vaporem levissimum ascendere, et recta ascendere, ut inter instabiles saltem aëris huius vicissitudines fieri id posse vix credam. Illud etiam adde, auctore Galilæo, ne a sublimioribus quidem illis planetarum regionibus abesse concretiones ac rarefactiones huiusmodi corporum fumidorum, ac proinde nec motus illos vagos incertosque, quibus eadem ferri necesse est."

Che vapori fumidi da qualche parte della Terra sormontino sopra la Luna, ed anco sopra il Sole, e che usciti fuori del cono dell’ombra terrestre sieno dal raggio solare ingravidati e quindi partoriscano la cometa, non è mai stato scritto dal signor Mario né detto da me, ben che il Sarsi me l’attribuisca. Quello che ha scritto il signor Mario è, che non ha per impossibile che tal volta possano elevarsi dalla Terra essalazioni ed altre cose tali, ma tanto più sottili del consueto, che ascendano anco sopra la Luna, e possano esser materia per formar la cometa; e che talora si facciano sublimazioni fuor del consueto della materia de’ crepuscoli, l’essemplifica per quella boreale aurora; ma non dice già che quella sia in numero la medesima materia delle comete, la qual è necessario che sia assai più rara e sottile che i vapori crepuscolini e che quella materia della detta aurora boreale, atteso che la cometa risplende meno assai dell’aurora; sì che se la cometa si distendesse, verbigrazia, lungo l’oriente nel candor dell’alba, mentre il Sole non fusse lontano dall’orizonte più di sei o vero otto gradi, ella senza dubbio non si discernerebbe, per esser manco lucida del campo suo ambiente. E coll’istessa, non risolutezza, ma probabilità si è attribuito il moto retto in su alla medesima materia. E questo sia detto non per ritirarci, per paura che ci facciano l’