Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/299

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ho per falsissimo; e questo mi persuade un’esperienza sola, ch’è il vedere egualmente illuminata una nuvola come s’ella fusse una montagna di marmi, e pur la materia della nuvola è alquanto più rara e perspicua di quella delle montagne: onde io non veggo qual necessità abbia il Sarsi di far la materia della cometa più densa e più opaca di quella de’ pianeti (che così mi par ch’ei dica, se bene ho capita la construzzion delle sue parole), e tanto più, quanto io non ho per chiaro ch’ella fusse più splendida delle stelle della prima grandezza e de’ pianeti. Ma quando ben ella fusse stata tale, a che proposito introdur questa tanta densità di materia, se noi veggiamo i vapori crepuscolini risplendere assai più delle stelle e di lei? Oltre a quelle nuvolette d’oro, lucide cento volte più.

Terzo, che posto che un fumido e denso vapore fusse stato quello in cui la cometa si produsse, ei ne dovesse seguir notabile discrepanza negli intervalli presi da stella a stella, come ch’ei dovessero, per causa della refrazzione per entro esso vapore, discordar da’ misurati da Ticone, e che, per l’opposito, niuna diversità vi fusse da loro osservata nel misurargli con ogni somma esattezza; io, se devo dire il vero, ci scorgo due cose le quali grandemente mi dispiacciono. L’una è, ch’io non veggo modo di poter prestar fede al detto del Sarsi senza negarla a quel del suo Maestro: atteso che l’uno dice d’aver loro con somma esattezza misurate le distanze tra le stelle, e l’altro ingenuamente si scusa di non avere avuto il commodo di far tali osservazioni coll’esquisitezza che sarebbe stata di bisogno, per mancamento di strumenti grandi ed esatti come quelli di Ticone; per lo che si contenta anco che altri non faccia gran capitale delle sue instrumentali osservazioni. L’altra è, ch’io non trovo via di poter dire a V. S. Illustrissima con quella modestia e riservo ch’io desidero, com’io dubito che il signor Sarsi non intenda perfettamente che cosa sieno queste refrazzioni, e come e quando elle si facciano e producano loro effetti. Però ella, che lo saperà fare colla sua infinita gentilezza, gli dica una volta, come i raggi che nel venir dall’oggetto all’occhio segano ad angoli retti la superficie di quel diafano in cui si deve far la refrazzione, non si rifrangono altrimenti, onde la refrazzione non è nulla: e però le stelle verso il vertice, come quelle che mandano a noi i raggi loro perpendicolari alla superficie sferica de i vapor che circondano la Terra, non patiscono refrazzione; ma