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fuoco per la parte sua non sia altro che, movendosi, penetrare colla sua massima sottilità tutti i corpi, dissolvendogli più presto o più tardi secondo la moltitudine e velocità degl’ignicoli e la densità o rarità della materia d’essi corpi; de’ quali corpi molti ve ne sono de’ quali, nel lor disfacimento, la maggior parte trapassa in altri minimi ignei, e va seguitando la risoluzione fin che incontra materie risolubili. Ma che oltre alla figura, moltitudine, moto, penetrazione e toccamento, sia nel fuoco altra qualità, e che questa sia caldo, io non lo credo altrimenti; e stimo che questo sia talmente nostro, che, rimosso il corpo animato e sensitivo, il calore non resti altro che un semplice vocabolo. Ed essendo che questa affezzione si produce in noi nel passaggio e toccamento de’ minimi ignei per la nostra sostanza, è manifesto che quando quelli stessero fermi, la loro operazion resterebbe nulla: e così veggiamo una quantità di fuoco, ritenuto nelle porosità ed anfratti di un sasso calcinato, non ci riscaldare, ben che lo tegniamo in mano, perch’ei resta in quiete; ma messo il sasso nell’acqua, dov’egli per la di lei gravità ha maggior propensione di muoversi che non aveva nell’aria, ed aperti di più i meati dall’acqua, il che non faceva l’aria, scappando i minimi ignei ed incontrando la nostra mano, la penetrano, e noi sentiamo il caldo.
Perché, dunque, ad eccitare il caldo non basta la presenza de gl’ignicoli, ma ci vuol il lor movimento ancora, quindi pare a me che non fusse se non con gran ragione detto, il moto esser causa di calore. Questo è quel movimento per lo quale s’abbruciano le frecce e gli altri legni e si liquefà il piombo e gli altri metalli, mentre i minimi del fuoco, mossi o per se stessi con velocità, o, non bastando la propria forza, cacciati da impetuoso vento de’ mantici, penetrano tutti i corpi, e di quelli alcuni risolvono in altri minimi ignei volanti, altri in minutissima polvere, ed altri liquefanno e rendono fluidi come acqua. Ma presa questa proposizione nel sentimento commune, sì che mossa una pietra, o un ferro, o legno, ei s’abbia a riscaldare, l’ho ben per una solenne vanità. Ora, la confricazione e stropicciamento di due corpi duri, o col risolverne parte in minimi sottilissimi e volanti, o coll’aprir l’uscita a gl’ignicoli contenuti, gli riduce finalmente in moto, nel quale incontrando i nostri corpi e per essi penetrando e scorrendo, e sentendo l’anima sensitiva nel lor passaggio i toccamenti, sente quell’affezzione grata o molesta, che noi poi abbiamo