Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/16

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8 avvertimento.

tardi, faceva por mano alla stampa: e così, mentre il 5 luglio 1631 egli comunicava al Marsili che erano già stampati dei fogli del Dialogo1, di che questi si congratulava come se ogni ostacolo fosse ormai tolto di mezzo2 ancora il giorno 12 il Niccolini scriveva al Nostro che il P. Riccardi poneva sempre nuove dilazioni a consegnare il proemio e la fine aggiustati3 e soltanto il 19 gli partecipava che il Padre Maestro, «tirato, come si suol dire per i capelli» aveva acconsentito a liberare il proemio4; e sotto la medesima data lo stesso P. Riccardi inviava all’Inquisitore di Firenze il «principio o prefazione da mettersi nel primo foglio, ma con libertà dell’autore di mutarlo e fiorirlo quanto alle parole, come si osserva la sentenza del contenuto», ed aggiungeva: «Il fine dovrà esser dell’istesso argomento»5.

Tale a noi risulta dai documenti pervenutici la narrazione dei fatti occorsi circa la licenza di stampa del Dialogo; non interamente conforme, per verità, alle due contenute nel volume del famoso processo, a cui la pubblicazione del libro diede luogo6.

Superati tutti gli ostacoli, si proseguì con maggiore alacrità la stampa, che fu compiuta il 21 febbraio 16327. Nel proemio dell’opera è data ragione della forma dialogica preferita dall’autore; nulla è detto del tempo nel quale si fingono tenuti i ragionamenti; quanto al luogo, è la città di Venezia, e precisamente il palazzo Sagredo sul Canal Grande. Tre sono gl’interlocutori, Salviati, Sagredo e Simplicio: in due di essi Galileo volle immortalare amici carissimi, rapiti al suo affetto nel fiore degli anni; il terzo è un personaggio immaginario; e di essi, e della parte che nel Dialogo rappresentano, accenneremo brevemente, prima di venir a discorrere della nostra ristampa.

Filippo d’Averardo Salviati era nato di nobile famiglia in Firenze il 29 gennaio 1583: si crede sia stato discepolo di Galileo in Padova, e certamente con lui si legò in intima amicizia, tanto da volerlo a suo diuturno ospite nella Villa delle Selve, dalla quale sono date la prima e la terza delle Lettere al Velsero sulle macchie solari, e dove, come egli stesso scrive in tale occasione, proseguiva in compagnia dell’ospite le osservazioni celesti. Dietro proposta di Galileo il Salviati venne aggregato all’Accademia dei Lincei nel 1612, e morte immatura lo coglieva il 22 marzo 1614 in Barcellona, mentre viaggiava per distrarsi da un'umiliazione sofferta in una questione di precedenza, avuta con un principe di Casa Medici. Nel Dialogo il Salviati rappresenta Galileo stesso, il quale soltanto in alcuni casi, e dove più esplicitamente si accenna alle scoperte da lui fatte od alla

  1. Archivio Marsigli in Bologna.
  2. Lettera di Cesare Marsili a Galileo dell'8 luglio 1631 (Mss. Gal., Par. V, T. VI, car. 180).
  3. Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 260.
  4. Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 262.
  5. Mss. Gal., Par. I, T. II, car. 49.— Nel volume del Processo di Galileo è allegata copia del proemio (vedi D. Berti, op. cit., pag. 168-171); ma il testo dell’edizione del 1632 non presenta differenze da siffatta copia, tranne alcune lievissime varietà attenenti unicamente alla forma (prole, a pag. 30, lin. 18, della presente edizione, in luogo di parto, che si legge nella copia allegata al Processo; Giovan Francesco, a lin. 36 della stessa pagina, in luogo di Francesco; e l’aggiunta, a pag. 31, lin. 10, dell’inciso per quanto vogliono le mie debili forze, che manca nella copia del Processo), e che non si può credere siano state introdotte dai revisori ecclesiastici, ma probabilmente rappresentano correzioni fatte dall’autore all’atto della stampa, secondo che gliene era stata concessa libertà.
  6. D. Berti, Il processo originale ecc., pag. 117-118, 162-165.
  7. Lettera sotto questa data del tipografo Gio. Battista Landini a Cesare Marsigli(Archivio Marsigli in Bologna). Vedi A. Favaro, Nuovi contributi alla storia del processo di Galileo, Venezia, tip. Ferrari, 1895, pag. 10. In fine dei Dialoghi avrebbe dovuto essere stampata una canzone di Iacopo Cicognini in lode di Galileo, secondo che annunziava il tipografo Landini, che pubblicava questa canzone in un opuscolo a parte (Alla Sacra Maestà Cesarea dell'Imperatore. In lode del famoso Signor Galileo Galilei Matematico del Serenissimo Gran Duca di Toscana. Canzone del dottore Iacopo Cicognini. — In Firenze, nella Stamperia di Gio. Batista Landini, 1631) mentre i Dialoghi erano «di continovo... sotto il torchio»: ma poi non fu aggiunta altrimenti.