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Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/444

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436 dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.

stenuto, il toccamento si fa di innumerabili minime particelle, se non forse de gl’infiniti punti di amendue le superficie, per lo che l’attaccamento ne riesce gagliardissimo. Questa osservazione, di spianar le superficie de i ferri che si hanno a toccare, non fu avvertita dal Gilberti; anzi egli fa i ferri colmi, sì che piccolo è il lor contatto, onde avviene che minor assai sia la tenacità con la quale essi ferri si attaccano.

Sagr. Resto dall’assegnata ragione, come dissi pur ora, poco meno appagato che se ella fusse una pura dimostrazion geometrica; e perchè si tratta di problema fisico, stimo che anco il signor Simplicio si troverà sodisfatto, per quanto comporta la scienza naturale, nella quale ei sa che non si deve ricercar la geometrica evidenza.

Simp. Parmi veramente che il signor Salviati con bel circuito di parole abbia sì chiaramente spiegata la causa di quest’effetto, che qualsivoglia mediocre ingegno, ancorchè non scienziato, ne potrebbe restar capace: [Simpatia o antipatia termini usati dai filosofi per render facilmente lo ragioni di molti effetti naturali.]ma noi, contenendoci dentro a’ termini dell’arte, riduchiamo la causa di questi e simili altri effetti naturali alla simpatia, che è certa convenienza e scambievole appetito che nasce tra le cose che sono tra di loro simiglianti di qualità; sì come, all’incontro, quell’odio e nimicizia, per la quale altre cose naturalmente si fuggono e si hanno in orrore, noi addimandiamo antipatia.

Sagr. E così con questi due nomi si vengono a render ragioni di un numero grande di accidenti ed effetti, che noi veggiamo, non senza maraviglia, prodursi in natura. [Piacevole esempio por dichiarar la poca efficacia di alcuni discorsi filosofici.]Ma questo modo di filosofare mi par che abbia gran simpatia con certa maniera di dipignere che aveva un amico mio, il quale sopra la tela scriveva con gesso: "Qui voglio che sia il fonte, con Diana e sue ninfe; qua, alcuni levrieri: in questo canto voglio che sia un cacciatore, con testa di cervio; il resto, campagna, bosco e collinette"; il rimanente poi lasciava con colori figurare al pittore: e così si persuadeva d’aver egli stesso dipinto il caso d’Atteone, non ci avendo messo di suo altro che i nomi. Ma dove ci siamo condotti con sì lunga digressione, contro alle nostre già stabilite costituzioni? Quasi mi è uscito di mente qual fusse la materia che trattavamo allora che deviammo in questo magnetico discorso; e pure avevo per la mente non so che da dire in quel proposito.

SALV Eramo su ’l dimostrare, quel terzo moto attribuito dal Co-