Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/605

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di antonio rocco. 597

tuale infinita, e per conseguente nè meno il moto sarebbe infinito; e noi fra le principali posizioni filosofiche statuimo con ragioni l’universo terminato, nè voi lo ponete attualmente infinito di mole, talchè ogni moto sarà al suo termine o al luogo naturale del suo mobile: nè so dove possiate nè anco imaginarvi linea infinita di real esistenza nel mondo finito, e nell’infinito caos sapete sognarla. Meglio era dir al contrario: già che appunto ove non era termine nè distinzione, ivi non poteva esser nè luogo nè linea finita, chi non avesse dato determinazione avanti alcuna cosa determinata; e per tanto, all’opposito, la vostra ragione, cioè che si potesse favoleggiar linee finite nell’infinito e nel finito, sia io tanto repugnante, che nè anco la favola vi trova il verisimile.

3. Alla terza si risponde, che i corpi non si rimovono da’ proprii luoghi, come ho anco detto; ma dato per caso che non vi fussero, vi si ricondurrebbono, o essi over le sue parti, secondo che occorresse. Nè è disordine alcuno che nel passaggio cedesse l’uno all’altro, essendo quei corpi che cedono facili a questo, come si vede dell’aria e dell’acqua, onde, cedendo, operano o permettono che altri operi circa essi, secondo la lor natural disposizione; anzi che non si dicono naturali perchè principalmente operino effetti naturali, ma più tosto perchè da naturali agenti sono passibili, o in potenza (come dicono) passiva: talchè per quel patimento non nascerebbe disordine oltrenaturale, nè sconvenevole, tanto più che da maggiori loro disordini (per così chiamargli con voi), cioè dal generarsi e corrompersi, si conserva il mondo; ed è naturalezza delle cose generabili che siano in perpetua discordia ed in regolato disordine, come è manifesto non solo per ragioni filosofiche, ma per sensate sperienze ancora. Or se il distruggersi (che è l’ultimo de’ mali, non che di disordini) non repugna alla natura, non è cagione di confusione inutile nè di disordine immoderato, onde tante revoluzioni irreparabili tribuite voi al moto puro locale per agitarsi o commoversi i corpi mossi? non essendo egli in niun modo, quanto è per sè stesso, distruggitore delle cose.

4. Alla quarta (che è l’opinion di Platone), non dico altro per ora, perchè risponderò alla vostra dimostrazione, con la quale credete confirmar questa posizione, ed avrò in un tempo sodisfatto all’uno ed all’altro.

5. Vengo dunque alla quinta. E dico, prima, che voi supponete, la quiete esser una tardità infinita, constituita di gradi infiniti positivi, onde da altri di velocità, parimente infiniti, quasi con resistenza dei predetti, abbiano da vincersi, e così prodursi velocità sempre maggiore. Le quali cose sono falsissime: però che la quiete è una pura privazione; la tardità, comunque si sia, anco per caso infinita, è passione disgiunta del moto, il cui opposito, ed altro disgiunto, è la velocità, sì che ogni moto è veloce over tardo; di modo che attribuendo la tardità alla quiete, sarebbe come chi dicesse, il vedere esser proprio di chi è cieco. Or questa tal privazione per ogni atto positivo si toglie o distrugge, come per ogni