Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/90

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82 dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.

silenzio, gli metteranno in disprezzo e derisione appresso l’universale. Vanissimo è il pensiero di chi credesse introdur nuova filosofia col reprovar questo o quello autore: bisogna prima imparare a rifar i cervelli degli uomini, e rendergli atti a distinguere il vero dal falso, cosa che solo Dio la può fare. Ma d’un ragionamento in un altro dove siamo noi trascorsi? io non saprei ritornare in su la traccia, senza la scorta della vostra memoria.

Simp. Me ne ricordo io benissimo. Eramo intorno alle risposte dell’Antiticone all’obbiezioni contro all’immutabilità del cielo, tra le quali voi inseriste questa delle macchie solari, non toccata da lui; e credo che voi voleste considerar la sua risposta all’instanza delle stelle nuove.

Salv. Or mi sovviene il restante; e seguitando la materia, parmi che nella risposta dell’Antiticone sieno alcune cose degne di riprensione. E prima, se le due stelle nuove, le quali e’ non può far di manco di non por nelle parti altissime del cielo, e che furono di lunga durata e finalmente svanirono, non gli danno fastidio nel mantener l’inalterabilità del cielo, per non esser loro parti certe di quello nè mutazioni fatte nelle stelle antiche, a che proposito mettersi con tanta ansietà ed affanno contro le comete, per bandirle in ogni maniera dalle regioni celesti? non bastav’egli il poter dir di loro quel medesimo che delle stelle nuove? cioè che per non esser parti certe del cielo nè mutazioni fatte in alcuna delle sue stelle, nessun progiudizio portano nè al cielo nè alla dottrina d’Aristotile? Secondariamente, io non resto ben capace dell’interno dell’animo suo, mentre che e’ confessa che le alterazioni che si facessero nelle stelle sarebber destruttrici delle prerogative del cielo, cioè dell’incorruttibilità etc., e questo, perchè le stelle son cose celesti, come per il concorde consenso di tutti è manifesto; ed all’incontro, niente lo perturba, quando le medesime alterazioni si facessero fuori delle stelle, nel resto della celeste espansione. Stim’egli forse che il cielo non sia cosa celeste? io per me credeva che le stelle si chiamassero cose celesti mediante l’esser nel cielo o l’esser fatte della materia del cielo, e che però il cielo fusse piú celeste di loro, in quella guisa che non si può dire alcuna cosa esser piú terrestre o piú ignea della terra o del fuoco stesso. Il non aver poi fatto menzione delle macchie solari, delle quali è stato dimostrato concludentemente prodursi e dissolversi ed esser