Pagina:Le opere di Galileo Galilei XIX.djvu/626

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Negli 11 di Marzo del 1639 avendo V. A. S. con filosofica curiosità ricercato per lettera il Sig.r Galileo del parer suo circa il libro De lapide Bononiensi del filosofo Liceti, e particolarmente sopra la dottrina del capitolo 50, dove l'autore oppone alla di lui oppinione sopra il candore o luce secondaria della luna, risposele tra pochi giorni, come è noto all'A. V., con dottissima lettera dell'ultimo dell'istesso mese, che cadde nel 1640, procurando per essa di mantener saldi i proprii pensieri con ragioni e conietture vivissime e sottilissime; alla qual lettera poi replicò il suddetto Liceti con assai grosso volume, che egli publicò nel 1642 insieme con detta lettera.

Nel tempo di trenta mesi ch'io vissi di continuo appresso di lui sino alli ultimi giorni della sua vita, essendo egli spessissimo travagliato da acerbissimi dolori nelle membra, che gli toglievano il sonno e 'l riposo, da un perpetuo bruciore nelle palpebre, che gl'era di insopportabil molestia, e dall'altre indisposizioni che seco portava la grave età, defatigata da tanti studii e vigilie de' tempi addietro, non poté mai applicare a disporre in carta l'altre opere che gli restavano già risolute e digerite nella sua mente, ma per ancora non distese, come pur desiderava di fare. Aveva egli concetto (già che i Dialogi delle due Nuove Scienze erano fatti pubblici) di formare due Giornate da aggiugnersi all'altre quattro; e nella prima intendeva inserire, oltre alle due suddette dimostrazioni, molte nuove considerazioni e pensieri sopra varii luoghi delle Giornate già impresse, portando insieme la soluzione di gran numero di problemi naturali di Aristotele e di altri suoi detti et opinioni, con discoprirvi manifeste fallacie, et in specie nel trattato De incessu animalium; e finalmente nell'ultima Giornata promuovere un'altra nuova scienza, trattando con progresso geometrico della mirabil forza della percossa, dove egli stesso diceva d'aver scoperto e poter dimostrare acutissime e recondite conclusioni, che superavano di gran lunga tutte l'altre sue speculazioni già pubblicate. Ma nell'applicazione a così vasti disegni, sopragiunto da lentissima febbre e da palpitazione di quore, dopo due mesi di malattia che a poco a poco gli consumava gli spiriti, il mercoledì dell'8 di Gennaio del 1641 ab Incarnatione, a hore quattro di notte, in età di settantasette anni, mesi dieci e giorni venti, con filosofica e cristiana constanza rese l'anima al suo Creatore, inviandosi questa, per quanto creder ne giova, a godere e rimirar più d'appresso quelle eterne et immutabili maraviglie, che per mezzo di fragile artifizio con tanta avidità et impazienza ella aveva procurato di avvicinare agl'occhi di noi mortali.

D'inestimabil pregiudizio all'università