Pagina:Le prose e poesie campestri....djvu/21

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le prose 5

esserci liberi e soli. Non ci si dee, no, trovare lo strepito cittadinesco, il giuoco, i gran pranzi, i passeggi in carrozza, le notti vegliate, le aurore dormite, i racconti frivoli, gli sdegnuzzi amorosi, la maldicenza: non conviene, come disse colui, portar la città nella villa.

Ma la solitudine è insopportabile a molti. La solitudine? Eglino insopportabili sono a sè stessi: sè stessi, che non videro mai, ritrovano allora, e spiace a loro la lor compagnia.

Ma l’uom nasce alla società, non a sè medesimo. Sì: ma parlo io forse d’un deserto dell’Arabia, e penso io di vivere in un albero incavato, come un Giapponese? Lascio, che spesso col bel nome di vita pubblica e attiva non si fa che coprir l’avarizia, o l’ambizion propria; e dico che anche il solitario può rendersi utile agli altri, e più virtuosamente, perchè nulla aspetta dagli altri, perchè non cambia, ma dona. È lepida cosa vedere, come gli