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P A R T E. | 19 |
Ma nulla è al mondo in ch’uom saggio si fide:
Ch’ancor poi ripregando, i nervi et l’ossa
Mi volse in dura selce; et così scossa
Voce rimasi de l’antiche some,
140Chiamando Morte, e lei sola per nome.
Spirto doglioso errante, mi rimembra,
Per spelunche deserte, e pellegrine,
Piansi molt’anni il mio sfrenato ardire:
Et ancor poi trovai di quel mal fine,
145E ritornai nelle terrene membra,
Credo, per più dolore ivi sentire.
I seguì tanto avanti il mio desire,
Ch’un dì cacciando sì, com’io solea,
Mi mossi; e quella fera bella, e cruda
150In una fonte ignuda
Si stava, quando ’l Sol più forte ardea.
Io, perchè d’altra vista non m’appago,
Stetti a mirarla: ond’ella ebbe vergogna,
E per farne vendetta, o per celarse,
155L’acqua nel viso co le man mi sparse.
Vero dirò: forse, e parrà menzogna:
Ch’i’ sentì’ trarmi della propria immago;
Ed in un cervo solitario, e vago
Di selva in selva ratto mi trasformo;
160Ed ancor de’ miei can’ fuggo lo stormo.
Canzon', i non fu’ mai quel nuvol d’oro
Che poi discese in preziosa pioggia,
Sicchè ’l foco di Giove in parte spense:
Ma fui ben fiamma ch’un bel guardo accense;
165E fui l’uccel che più per l’aere poggia,
Alzando lei che ne’ miei detti onoro:
Nè per nova figura il primo alloro
Seppi lassar, che pur la sua dolce ombra
Ogni men bel piacer del cor mi sgombra.