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SONETTO XCVII.
Poi che’n prima arsi, e giàmmai non mi spensi:
Ma quando avven ch’al mio stato ripensi,
4Sento nel mezzo de le fiamme un gelo.
Vero è ’l proverbio, ch’Altri cangia il pelo
Anzi che ’l vezzo: e per lentar i sensi,
Gli umani affetti non son meno intensi:
8Ciò ne fa l’ombra ria del grave velo.
Oimè lasso! e quando fia quel giorno
Che, mirando il fuggir degli anni miei,
11Esca del foco, e di sì lunghe pene?
Vedrò mai 'l dì che pur quant’io vorrei.
Quel’aria dolce del bel viso adorno
14Piaccia a quest’occhi, e quanto si convene?
SONETTO XCVIII.
D’un’amorosa nebbia ricoperse,
Con tanta maestade al cor s’offerse,
4Che li si fece incontr’a mezzo ’l viso.
Conobbi allor, siccome in paradiso
Vede l’un l’altro; in tal guisa s’aperse
Quel pietoso penser ch’altri non scerse:
8Ma vidil’ io, ch’altrove non m’affiso.
Ogni angelica vista, ogni atto umile
Che già mai in donna ov’amor fosse, apparve,
11Fora uno sdegno a lato a quel ch’i’ dico.
Chinava a terra il bel guardo gentile,
E tacendo dicea, (com'a me parve)
14Chi m’allontana il mio fedele amico?