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SONETTO CLIII.


S
E Virgilio, e Homero avessin visto

     Quel Sole il qual vegg’io con gli occhi miei,
     Tutte lor forze in dar fama a costei
     4Avrian posto, e l’un stil coll’altro misto:
Di che sarebbe Enea turbato, e tristo.
     Achille, Ulisse, e gli altri semidei;
     E quel che resse anni cinquantasei
     8Sì bene il mondo, e quel ch’ancise Egisto.
Quel fior' antico di virtuti,, e d’arme
     Come sembiante stella ebbe con questo
     11Novo fior d’onestate, e di bellezze!
Ennio di quel cantò ruvido carme;
     Di quest’altr'io: ed o pur non molesto
     14Gli sia 'l mio ingegno, e ’l mio lodar non sprezze!



SONETTO CLIV.


G
Iunto Alessandro alla famosa tomba

     Del fero Achille, sospirando disse:
     O fortunato, che sì chiara tromba
     4Trovasti, e chi di te sì alto scrisse!
Ma questa pura, e candida colomba;
     A cui non so s’al mondo mai par visse;
     Nel mio stil frale assai poco rimbomba:
     8Così son le sue sorti a ciascun fisse.
Che d’Omero dignissima, e d’Orfeo,
     O del pastor ch’ancor Mantova onora,
     11Ch’andassen sempre lei sola cantando;
Stella difforme, e fato sol qui reo
     Commise a tal, che ’l suo bel nome adora:
     14Ma forse scema sue lode parlando.