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SONETTO CLVII.


U
Na candida cerva sopra l’erba

     Verde m’apparve con duo corna d’oro
     Fra due riviere all’ombra d’un' Alloro,
     4Levando ’l Sole alla stagion' acerba.
Era sua vista sì dolce superba,
     Ch’i’ lasciai per seguirla ogni lavoro:
     Come l’avaro, che ’n cercar tesoro
     8Con diletto l’affanno disacerba.
Nessun mi tocchi, al bel collo d’intorno
     Scritto avea di diamanti, e di topazi;
     11Libera farmi al mio Cesare parve.
Ed era ’l Sol già volto al mezzo giorno;
     Gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi;
     14Quand’io caddi nell’acqua, ed ella sparve.



SONETTO CLVIII.


S
Iccome eterna vita è veder Dio,

     Nè più si brama, nè bramar più lice;
     Così me, Donna, il voi veder, felice
     4Fa in questo breve, e frale viver mio.
Nè voi stessa, com’or, bella vid’io
     Giammai; se vero al cor l’occhio ridice;
     Dolce del mio pensier' ora beatrice;
     8Che vince ogni alta speme, ogni desio.
E se non fosse il suo fuggir sì ratto,
     Più non dimanderei: che s’alcun vive
     11Sol d’odore, e tal fama fede acquista;
Alcun d’acqua, o di foco il gusto, e ’l tatto
     Acquetan, cose d’ogni dolzor prive;
     14I’ perchè non della vostr'alma vista?