Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/238

Da Wikisource.

P A R T E. 155

Mi giacqui un tempo: or'all’estremo famme
45A Fortuna, ed Amor pur come sole.
Così rose, e viole
Ha primavera, e ’l verno ha neve, e ghiaccio:
Però s’i’ mi procaccio
Quinci, e quindi alimenti al viver curto,
50Se vol dir che sia furto;
Sì ricca donna deve esser contenta
S’altri vive del suo, ch’ella nol senta.
Chi nol sa, di chi vivo, e vissi sempre
Dal dì che prima que’ begli occhi vidi
55Che mi fecer cangiar vita, e costume?
Per cercar terra, e mar da tutti lidi,
Chi può saver tutte l’umane tempre?
L'un vive, ecco, d'odor, là sul gran fiume;
Io qui di foco, e lume
60Queto i frali, e famelici miei spirti.
Amor' (et vo’ ben dirti)
Disconviensi a signor l’esser sì parco.
Tu hai gli strali, e l’arco:
Fa di tua man, non pur bramando, i' mora:
65Ch’un bel morir tutta la vita onora.
Chiusa fiamma è più ardente; e se pur cresce,
In alcun modo più non può celarsi:
Amor', i’’l so; che ’l provo alle tue mani.
Vedesti ben, quando sì tacito arsi:
70Or de’ miei gridi a me medesmo incresce,
Che vo nojando e prossimi, e lontani.
O mondo, o pensier vani!
O mia forte ventura a che m’adduce!
O di che vaga luce
75Al cor mi nacque la tenace speme
Onde l’annoda, e preme
Quella che con tua forza al fin mi mena!
La colpa è vostra; e mio ’l danno, e la pena.
Così di ben amar porto tormento;