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P A R T E. | 157 |
SONETTO CLXXIV.
Partendo onde partir già mai non posso,
Mi vanno innanzi et emmi, o nor’ adosso
4Quel caro peso ch’Amor m’ha commesso.
Meco di me mi meraviglio spesso;
Ch’i’ pur vo sempre, e non son’ anchor mosso
Dal bel giogo più volte indarno scosso:
8Ma com’ più men’allungo, e più m’appresso.
E qual cervo ferito di saetta
Col ferro avvelenato dentr’ al fianco,
11Fugge, et più duolsi quanto più s’affretta;
Tal’ io, con quello stral dal lato manco
Che mi consuma, e parte mi diletta;
14Di duol mi struggo, e di fuggir mi stanco.
SONETTO CLXXV.
Ricercando del mar’ ogni pendice,
Nè dal lito vermiglio a l’onde Caspe,
4Nè ’n ciel, nè ’n terra è più d’una Fenice.
Qual destro corvo o qual manca cornice
Canti ’l mio fato? o qual Parca l’innaspe?
Che sol trovo pietà sorda, com’aspe,
8Misero, onde sperava esser felice:
Ch’i’ non vo’ dir di lei; ma chi la scorge,
Tutto ’l cor di dolcezza, e d’amor l’empie,
11Tanto n’ha seco, e tant’altrui ne porge:
E per far mie dolcezze amare, ed empie;
O s’infinge, o non cura, o non s’accorge
14Del fiorir queste inanzi tempo tempie.