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P A R T E . 169

SONETTO CXCV.


I’
Mi vivea di mia sorte contento

     Senza lagrime, e senza invidia alcuna:
     Che s’altro amante ha più destra fortuna,
     4Mille piacer non vaglion' un tormento.
Or que' belli occhi ond’io mai non mi pento
     Delle mie pene, e men non ne voglio una;
     Tal nebbia copre, sì gravosa, e bruna,
     8Che ’l Sol della mia vita ha quasi spento.
O Natura, pietosa, e fera madre,
     Onde tal possa, e sì contrarie voglie
     11Di far cose, e disfar tanto leggiadre?
D’un vivo fonte ogni poder s’accoglie:
     Ma tu, come ’l consenti, o sommo Padre,
     14Che del tuo caro dono altri ne spoglie?



SONETTO CXCVI.


V
Incitore Alessandro l’ira vinse,

     Et fel minor' in parte, che Filippo:
     Che li val se Pirgotile, e Lisippo
     4L’intagliar sol,o e Apelle il depinse?
L’ira Tidèo a tal rabbia sospinse,
     Che morend'ei, si rose Menalippo:
     L’ira cieco del tutto, non pur lippo,
     8Fatto avea Silla, all’ultimo l’estinse.
Sal Valentinian, ch’a simil pena
     Ira conduce; e sal quei che ne more,
     11Ajace in molti, e po' in se stesso forte.
Ira è breve furor'; e chi nol frena,
     È furor lungo, che ’l suo possessore
     14Spesso a vergogna, e talor mena a morte.